Le analisi dei testi letterari: aiuto


Il sonetto petrarchesco analizzato da Cesare Segre

L'analisi di Cesare Segre evidenzia le significative presenze simboliche della prima quartina. L' almo sol, con cui si apre il sonetto, rinvia miticamente al dio Apollo. La fronde, soggetto del v.1, rinvia ad un tempo a Dafne, che inseguita dal dio Apollo si trasformo' in lauro e a Laura il cui simbolo e', anche fonicamente, il lauro.

Grande attenzione e' riservata al livello sintattico del testo, in cui la costruzione della frase alterna i soggetti di prima e seconda persona: io e tu:

v. 1	io sola amo
v. 2	tu prima amasti
v. 5	I' ti pur prego e chiamo
v. 6/7	e tu pur fuggi e fai d'intorno / ombrare i poggi
v. 7	e te ne porti il giorno
v. 8	e fuggendo mi toi (mi togli) quel ch'i' piu' bramo.	
Sintatticamente hanno grande importanza anche la costruzione dei sintagmi aggettivo + sostantivo che stilisticamente costruiscono un gioco di alternanze e simmetrie.
v. 9	umil colle
v. 10	soave foco
v. 11	gran lauro...picciola verga
v. 13	dolce vista...beato loco
Sono infine considerati i motivi fonici del testo, che consolidano cio' che ad un livello piu' visibile e' gia' stato notato. Ecco allora le osservazioni sull'iterazione di gruppi sillabici (v. 1 Almo Sol...sola amo), l'iterazione di particolari suoni come l e v nelle terzine.










Il verso libero italiano: la genesi.

La sperimentazione espressiva nella poesia italiana di fine Ottocento.

Pascoli e D'Annunzio (e il loro maestro, Carducci) avevano compiuto una ricerca espressiva molto intensa, il cui esito maggiore fu l'innovazione metrica introdotta nella lirica italiana. Per ragioni differenti i tre grandi poeti della seconda meta' dell'Ottocento piegarono i versi italiani, ancorati solidamente alla tradizione che nel Canzoniere petrarchesco ha il suo modello, a nuovi ritmi, a nuovi timbri.

Essi ignorarono del tutto la lezione che venne dalla poesia leopardiana, priva d'eredi fino al Novecento che sperimenta il verso libero; percorsero invece, e il primo fu Carducci, la strada del ritorno ai classici latini e greci; diedero a questo loro cammino, soprattutto Pascoli e D'Annunzio, il senso di una ricerca della verita' del fare poetico che svela il significato autentico del mondo. In polemica con una societa' attraversata da trasformazioni profonde, la cui mentalita' nuova disapprovarono, e in definitiva non capirono, i tre poeti ottocenteschi si sentirono sfidati a mostrare il valore della poesia autentica e per questo la loro sperimentazione espressiva non fu mai sazia di novita'.

In effetti dalle Odi barbare carducciane in poi fu un crescendo. La volonta' di scrivere una poesia di assoluto prestigio, spinse Carducci a riprodurre in italiano i versi meno traducibili della poesia latina e greca. Pascoli, in un suo modo originale, perfeziono' la ricerca metrica del suo maestro. D'Annunzio creo' una versificazione cosi' abilmente variata da diventare comunque il riferimento, contro cui polemizzare, ma in ogni caso il modello con cui misurarsi, dei poeti primonovecentechi che cambiarono il sistema della lirica italiana. Perche' la lirica italiana nel primo decennio del Novecento conobbe la rivoluzione del verso libero.

Il verso libero

Il verso libero non e' una forma metrica che rinuncia semplicemente allo schema delle rime (questo semmai e' il verso sciolto); o che rinuncia alla struttura ritmica disegnata dalla successione delle strofe: la poesia italiana puo fare a meno sia della rima che della struttura strofica; ma cio' che la poesia italiana non ammette e' la mescolanza in uno stesso componimento di versi differenti, o addirittura di versi la cui misura travalica quelle piu' lunghe, stabilite fin dai tempi di Dante a Petrarca. Il principio irrinunciabile della metrica tradizionale della poesia dal Trecento in poi e' l'impiego di versi la cui misura sia sillabicamente equivalente: questa e' la regola dominante della poesia accentuativa italiana.

Eppure Carducci infrange questa norma. Quando, sia pure per le sue ragioni di riaffermazione del prestigio della poesia, traduce in italiano un metro come il distico elegiaco latino decide di accostare versi italiani differenti, perche' in italiano nessuna misura e' abbastanza lunga per riprodurre i due versi latini che compongono la strofetta di due versi dell'elegia latina.

Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinereo: gridi, 
suoni di vita piu' non salgon da la citta',

E' il distico di apertura di Nevicata. Il primo verso e' fatto di 16 sillabe metriche; il secondo di 14. Sono due misure che in italiano non esistono. In realta' sono il prodotto dell'accostamento di versi differenti: sia il primo che il secondo verso sono il prodotto dell'addizione di un settenario con un novenario:

Il primo verso della strofetta e' un settenario piano accostato ad un novenario piano; il secondo verso e' costituito da un settenario piu' un novenario, tronchi entrambi. Variazioni sempre piu' audaci sul tema tracciato da Carducci si trovano in Pascoli e D'Annunzio, che associa liberamente all'endecasillabo il settenario, il novenario, il quinario. E tuttavia lo sconvolgimento che questi due poeti piu' sensibili al simbolismo europeo compiono nel sistema italiano e' dominato da un'idea di riforma metrica come allargamento delle consuetudini tradizionali, entro cui le infrazioni alla regola dell'isosillabismo possono essere previste ed auspicate, ma sono sapientemente ordinate, riequilibrate in modo da neutralizzare il rischio della dispersione e del caos, il rischio del non finito, il rischio, in definitiva, del "brutto".

Il pericolo dell'informe, del non dicibile e' avvertito da questi poeti e fortemente tenuto a bada, esorcizzato in forme sempre pi sofisticate e sontuose, come un accorto super-io che reprima le pulsioni distruttive dell'inconscio.

Ma proprio il rischio del "brutto", della liberazione di fantasmi temuti sono disposti a correre i poeti versoliberisti e pi in generale i poeti del Novecento italiano e non solo. Mentre cioe' Carducci, Pascoli e D'Annunzio ancora pensano alla poesia come ad una totalita' risolta, capace, pur tra una quantita' quasi intollerabile di contraddizioni, di conservare il ruolo da sempre assunto di custode dei valori comuni, i versoliberisti esibiscono la loro sofferta irresolutezza, rivendicano il loro diritto a non avere piu' della poesia un'idea "umanistica", cioe' a rinunciare al ruolo civile che i poeti hanno sempre sentito come loro proprio.

Nella concezione moderna dell'arte il testo e' frammento e montaggio di frammenti, e' disorganicita' programmatica, ottenuta citando i linguaggi di ogni scuola letteraria del passato, giustapponendo ecletticamente materiali disomogenei e anzi spesso dissonanti, attinti a momenti disparati della nostra tradizione letteraria. Dice un giovane studioso del verso libero: La Triade si confronta con singole forme, tutte di fatto compatibili col sistema isosillabico; mentre i versoliberisti ormai ragionano fuori da quell'orizzonte. La posta in gioco, adesso, non e' la novita', bens la liberta' (Paolo Giovannetti, Metrica del verso libero italiano, Marcos y Marcos, Milano, 1994)










Sergio Corazzini: notizie.

Nell'ambito della poesia di inizio secolo, la poesia di Sergio Corazzini e' una delle prime a sperimentare il verso libero, che compare gia' ne La tipografia abbandonata del 1903. Nato a Roma nel 1886, Corazzini mori' giovanissimo di tisi nel 1907. Lasciati presto gli studi per impiegarsi in una compagnia di assicurazioni a causa dei dissesti economici della sua famiglia, creo' con alcuni suoi amici, tra cui Fausto Maria Martini e Corrado Govoni, una specie di circolo letterario. Fu poeta precocissimo, la sua prima raccolta, Dolcezze e' del 1904; l'anno successivo pubblico' altre due raccolte di versi L'amaro calice e Le aureole ; del 1906 sono infine Piccolo libro inutile, Elegia e Libro per la sera della domenica.

I temi della poesia corazziniana lo fanno tradizionalmente confrontare con Guido Gozzano, anzi per questi due poeti, oltre che per Martini e Govoni e Marino Moretti, la critica conio' il nome di "crepuscolari" perche' tema della loro poesia e' il dimesso, il provinciale che essi contrappongono polemicamente al lusso dannunziano e al mondo campagnolo pascoliano. Eppure nella poesia di Corazzini questi temi cosi' esigui contrastano a tal punto con lo sperimentalismo formale dei versi da far sospettare che "attraverso il metro parli una pulsione altra, estranea alla fin troppo esibita lacrimosita" del dettato esteriore. Nel verso sghembo e sempre disposto a rinnovarsi, si esprime un impulso vitalistico irriducibile a parola: il verbo crepuscolare, nelle sue clausole piu' dimesse e - senza dubbio - di genere, viene eroso da un ritmo estemporaneo che possiede una netta autonomia rispetto ai valori denotati e rilancia in continuazione le proprie strategie dissolventi". E' il giudizio di Paolo Giovannetti (in Metrica del verso libero italiano, Marcos y Marcos, Milano, 1994, p.117)










Due regole del sistema poetico italiano.

La caratteristica piu' evidente del discorso poetico consiste nel fatto che si sviluppa in versi, regolati da alcune norme. Ecco alcune notizie sulle caratteristiche principali del sistema metrico italiano. Per una trattazione piu' ampia della questione consultate il volume:

Ferdinanda Cremascoli, Guida alla scrittura nel triennio, La Nuova Italia, Firenze, 1997.










Come si definisce il verso italiano.

Il metro della poesia italiana e' accentuativo: si fonda cioe' su versi che, entro un numero definito di sillabe, alternano sillabe forti e sillabe deboli. Ma... . Un verso non si definisce quinario, perche' ha cinque sillabe, o endecasillabo perche' ha undici sillabe; e nemmeno ottonario, perche' ne ha otto. Il computo delle sillabe di un verso tiene conto anzitutto dell'accento tonico della parole finale. Per esempio, considerate questi settenari di Alessandro Manzoni, sono la prima strofa di un coro dell' Adelchi, una tragedia scritta tra il 1820 e il 1821:
Sparsa le trecce morbide
sull'affannoso petto
lenta le palme , e rorida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel.

Solo nel verso 2 le sillabe sono proprio sette; nel verso 1 le sillabe sono otto, nel verso 6 le sillabe sono sei: ma entrambi questi ultimi versi si considerano settenari: perche' l'ultima parola del verso 1 e' sdrucciola; e l'ultima parola del verso 6 e' tronca. Notate pero' che in tutte queste parole finali l'accento coincide con la sesta sillaba del verso.

Dunque potremmo dire che un settenario si definisce tale, non perche' e' un verso di sette sillabe, ma perche' ha sempre un accento sulla sesta sillaba.

Analogamente si puo' dire per tutti gli altri versi italiani: un quadrisillabo ha sempre un accento sulla terza sillaba; un quinario ha sempre un accento sulla quarta sillaba; un senario ha sempre un accento sulla quinta sillaba,...un endecasillabo e' tale perche' presenta sempre un accento sulla decima sillaba.






Come si contano le sillabe.

Le parole sono costituite da una o piu' sillabe, ossia da segmenti fonici pronunciati con una sola emissione di voce. Una sillaba contiene sempre almeno una vocale (a - mo- re), preceduta da una o piu' consonanti (ma - re; tre - no ; stra - da) o seguita da una consonante (al - to). L'italiano distingue inoltre tra le vocali quelle forti e quelle deboli.

Sono vocali forti:a - e - o
Sono vocali deboli:i - u

In una sillaba vi possono essere anche due o tre vocali che costituiscono dittongo o trittongo. Costituisce dittongo: l'incontro di una vocale debole priva d'accento con una vocale forte, oppure l'incontro di due vocali deboli. Hanno valore di una sillaba sola anche i trittonghi che si formano nell'incontro di due vocali deboli con una forte.

Dittonghi:vocale forte (a - e - o) + vocale debole non accentata (i - u)
vocale debole + vocale debole
Trittonghi:due vocali deboli (i - u) + vocale forte(a - e - o)

ATTENZIONE: non sempre l'incontro di due vocali da' dittongo, si puo' avere anche iato Se nell'incontro tra vocale debole e vocale forte, la debole e' accentata, allora non si ha dittongo, ma iato; iato e' sempre l'incontro di due vocali forti. Infine ricordate che l'unione di due vocali deboli con una forte da' origine al trittongo.

Possiamo riassumere queste nozioni cosi':






Cosa sono le figure metriche.

C'e' un'altra considerazione da fare a proposito del computo delle sillabe dei versi italiani, perche' per realizzarla correttamente, non basta applicare le regole che normalmente usiamo per sillabare una parola; occorre anche tenere conto delle cosiddette figure metriche, che intervengono alterando la nozione stessa di sillaba. La loro presenza fa si' che la' dove normalmente ci sono due sillabe se ne prenda in considerazione una sola; o viceversa, la' dove c'e' una sola sillaba, metricamente se ne prendono in considerazione due.






La pausa metrica e quella sintattica.

La cesura, la pausa di fine verso, la misura della strofa sono importanti fattori del ritmo di un componimento poetico. Il ritmo sintattico della frase che sta nel verso o nella strofa si accorda o non si accorda al ritmo del metro. Ad esempio, in questi versi dell' Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, il ritmo del metro e' anche quello della sintassi:

Erano in corte tutti i paladini
per onorar quella festa gradita,
Il verso contiene sintagmi completi
E da ogni parte da tutti i confini,
era in Parigi una gente infinita.
Le frasi si allineano sulla misura del verso
Eranvi ancora molti Saracini,
perche' corte reale era bandita,
Le frasi si allineano anche sulla misura del distico
Et era ciascheduno assicurato
che non sia traditore o rinnegato
.
Il periodo e' comunque concluso nella strofa

I versi qui sono endecasillabi, ogni endecasillabo contiene sintagmi completi, anzi ogni emistichio (cioe' il mezzo verso individuato dalla cesura) contiene esattamente un sintagma.
Quanto alla strofa, e' un'ottava il cui ritmo e' definito nei primi sei versi dall'andamento alternato delle rime, negli ultimi due dall'andamento delle rime baciate la sintassi del periodo tende ad accordarsi ad esso, percio' troviamo una frase completa in ogni distico (gruppo di due versi).

Ma non sempre questo accade: il ritmo del metro stabilito dal verso e dalla strofa puo' non coincidere con quello della sintassi. La frase puo' essere piu' breve o piu' lunga di quello che vorrebbero la misura dei versi o delle strofe. Come in questa poesia: Arano di Giovanni Pascoli.

La frase comincia nel primo verso - Nel campo - e si conclude nel primo verso della strofa successiva - arano - . Anche gli emistichi non sempre contengono esattamente dei sintagmi: al verso 3 la cesura separa il nome -nebbia - dal suo aggettivo - mattinal -, al verso 4 l'aggettivo - lente - conclude il verso rimanendo separato dal nome che lo accompagna - vacche - che si trova nel verso successivo. In metrica quando il verso finisce spezzando un sintagma si ha ENJAMBEMENT.

Ecco un esempio di enjambement che si crea spezzando il sintagma nome+aggettivo: sono versi de L'infinito di Giacomo Leopardi:

Ma sedendo e mirando interminati enjambement: spezzatura del sintagma aggettivo + nome
spazi di la' da quella e sovrumani enjambement
silenzi e profondissima quiete

Questo invece e' un altro caso di enjambement: la spezzatura del sintagma costituito dal gruppo del soggetto (soggetto piu' sintagma preposizionale). Sono versi di Alla sera di Ugo Foscolo:

...............................e intanto fuggeVerbo posto prima del soggetto, posto nel verso successivo
questo reo tempo e van con lui le tormeenjambement: spezzatura del sintagma nome
delle cure onde meco egli si strugge + complemento di specificazione