Almo Sol, quella fronde ch'io sola amo, tu prima amasti, or sola al bel soggiorno verdeggia, e senza par poi che l'addorno 4 suo male e nostro vide in prima Adamo. Stiamo a mirarla: i' ti pur prego e chiamo, o Sole; e tu pur fuggi, e fai d'intorno ombrare i poggi, e te ne porti il giorno, 8 e fuggendo mi toi quel ch'i' piť bramo. L'ombra che cade da quell'umil colle, ove favilla il mio soave foco, 11 ove il gran lauro fu picciola verga, crescendo mentr'io parlo, agli occhi tolle la dolce vista del beato loco, ove 'I mio cor co la sua donna alberga.La prima quartina espone lo schema concettuale che poi si animera' nel seguito del sonetto. La "fronde" del v. 1 indica contemporaneamente il lauro come risultato della mitica metamorfosi di Dafne e come "senhal" di Laura. Essa si trova in mezzo tra "l'almo Sol", identificato con Apollo, gia' innamorato di Dafne, e l'affermazione dell'unicita' dell'amore del Petrarca per Laura. Simmetria accentuata dal fatto che "sola amo" e' quasi speculare ad "almo Sol". Questi gruppi sillabici ritornano nel v. 2 ("amasti", "or sola"), ma a cavallo d'una frattura cronologica e prosodica, tra i due amori, di Apollo e del Petrarca, sottolineata dall'opposizione tra "prima" ed "or". Il doppio simbolo della fronde e i suoi legami bivalenti con Apollo e col poeta son posti sullo stesso piano attraverso la consecuzione dei pronomi e dei verbi di prima e seconda persona: "io sola amo", "tu prima amasti". Solo in questo statico rigore la quartina poteva palesare il suo complesso schema inventivo: pertanto l'enjambement tra i vv. 2 e 3 ("al bel soggiorno" / "verdeggia"), sottolineato dalle due doppie "g", rassoda il blocco sintattico dei versi, come pure il richiamo tra prima (v. 2) e in prima (v. 4).
Diverso lo schema della seconda quartina. Prima la breve esortazione "Stiamo a mirarla", dove il plurale mantiene per un'ultima volta l'equivalenza dei due innamorati. Poi la frase in prima persona "i' ti pur prego e chiamo", il cui affanno ha il culmine nello sporgersi asimmetrico dell'invocazione "o Sole" nel v. 6. Infine le quattro brevi proposizioni legate paratatticamente dalla congiunzione "e". Queste proposizioni sono tutte in seconda persona: "tu... fuggi", "fai", "te ne porti", "mi toi", e ribadiscono l'inflessibilita' del sole che tramontando impedisce al poeta di contemplare la collina su cui abita Laura. Il contrasto fra il secondo e il terzo momento e' accentuato dall'opposizione tra 'ti pur prego' e 'tu pur fuggi'. L'unita' del terzo momento si esprime tra l'altro con la variazione "fuggi... fuggendo", le cui doppie palatali son pure presenti in "poggi". E non e' forse casuale il richiamo, a contrasto, fra l'enjambement centrale della prima quartina e quello centrale della seconda ("fai d'intorno" / "ombrare i poggi").
La situazione esposta nella seconda quartina ritorna con tono piu' elegiaco e descrittivo nelle terzine, il cui inizio si lega con la fine della quartina attraverso l'anagramma "bramo-ombra". In verita' le terzine oggettivano e ampliano il tema dell'ombra, enunciato soggettivamente nei vv. 6-7 ("fai d 'intorno" / "ombrare i poggi"): esse costituiscono un grande periodo con l'ombra come soggetto, e come verbo quel "torre" che chiudeva le quartine, con parallelismo anche sintattico tra i vv. 8 e I2:
v.8 e fuggendo mi toi quel ch'i' piu' bramo; .......................................... v.12 crescendo mentr'io parlo, agli occhi tolle.Le terzine sono caratterizzate dalla frequenza della lettera "l": pari a quella dei primi due versi del sonetto: quasi un'allusione all'iniziale di Laura; solo il v. IO, con la sua abbondanza di "v", svolge una funzione imitativa, in senso luministico: "ove favilla il mio soave foco". Stilisticamente, le terzine sono legate attraverso gli "ove" all'inizio dei vv. 1O, 11, 14: "ove" e' come una freccia indicatrice verso il colle ove dimora Laura. C'e' poi un gioco di simmetrie e alternanze tra le coppie aggettivo piu' sostantivo: una nei vv. 9 ("umil colle") e 1O ("soave foco"), due nel v. 11 che chiude la prima terzina ("gran lauro"; "picciola verga"); mentre il v. 13 della seconda terzina, che ha ancora due coppie ("dolce vista"; "beato loco"), e' chiuso tra due versi a base complemento piu' verbo ("agli occhi tolle"; "co la sua donna alberga"). Non a caso i vv. 11 e 13, i soli con due coppie aggettivo piu' sostantivo, son quelli in cui domina la presenza di Laura ("ove 'l gran lauro fu picciola verga") e della sua dimora collinare ("la dolce vista del beato loco"): esplicitazione della fronda e del bel soggiorno allusivamente anticipati ai vv. 1 e 2. Ne' a caso le coppie aggettivo piu' sostantivo dei versi centrali delle terzine sono in rima e contengono ognuno uno iato ("soave"; "beato").
Quest'analisi di Cesare Segre esamina il sonetto petrarchesco strofa per strofa. Di ciascuna sono evidenziati i motivi che la caratterizzano.
Tratta da Le aureole, una raccolta poetica del 1905, questa lirica esprime in modo assai esemplare il radicalismo espressivo del verso libero corazziniano, anzitutto per la presenza di versi del tutto eterogenei, per la variabilita' capricciosa delle strofe, per la bizzaria dell'enjambement.
Non rammento. Io la vidi aperta sul mare, come un occhio a guardare, coronata di nidi. 5 Ma non so ne' dove, ne' quando, mi apparve; tenebrosa come il cuore di un usuraio, canora come l'anima di un fanciullo. Era 10 la finestra di una torre in mezzo al mare, desolata terribile al crepuscolo, spaventosa nella notte, triste cancellatura della chiarita' dell'alba. 15 Le antichissime sale morivano di noia: solamente l'eco delle gavotte, ballate in tempi lontani da piccole folli signore incipriate, le confortava un poco. 20 Qualche gufo co'i tristi occhi, dall'alto nido scricchiolante incantava l'ombra vergine di stelle. E non c'era piu' nessuno 25 da tanti anni, nella torre, come nel mio cuore. Sotto la polvere ancora, un odore appassito, indefinito, esalavano le cose, 30 come se le ultime rose dell'ultima lontana primavera fossero tutte morte in quella torre triste, in una sera triste. E lacrimava per i soffitti 35 pallidi, il cielo, talvolta sopra lo sfacelo delle cose. Lacrimava dolcemente quietamente per ore e ore, come un piccolo fanciullo malato. 40 Dopo, per la finestra veniva il sole, e il mare, sotto, cantava. Cantava l'azzurro amante, cingendo la torre tristissima 45 di tenerezze improvvise, e il canto del titano aveva dolcezze, sconforti, malinconie, tristezze profonde, nostalgie 50 terribili... Ed egli le offriva i suoi morti, tutte le navi infrante, naufragate lontano. Una sera per la malinconia di un cielo che invano 55 chiamava da ore e ore le stelle, volarono via con il cuore pieno di tremore le ultime rondini e a poco 60 a poco nel mare caddero i nidi: un giorno non vi fu piu' nulla intorno alla finestra. Allora qualche cosa tremo' 65 si spezzo' nella torre e, quasi in un inginocchiarsi lento di rassegnazione davanti al grigio altare 70 dell'aurora, la torre si dono' al mare.
Questa lirica infrange molte consuetudini della poesia italiana.