Analisi dei testi letterari: alcuni testi d'esempio


Cesare Segre. Analisi di un sonetto di Petrarca.

Il sonetto ha nel Canzoniere il numero 188:
	    Almo Sol, quella fronde ch'io sola amo,
	tu prima amasti, or sola al bel soggiorno
	verdeggia, e senza par poi che l'addorno
4	suo male e nostro vide in prima Adamo.

	   Stiamo a mirarla: i' ti pur prego e chiamo,
	o Sole; e tu pur fuggi, e fai d'intorno
	ombrare i poggi, e te ne porti il giorno,
8	e fuggendo mi toi quel ch'i' pi bramo.

	   L'ombra che cade da quell'umil colle,
	ove favilla il mio soave foco,
11	ove il gran lauro fu picciola verga,

	   crescendo mentr'io parlo, agli occhi tolle
	la dolce vista del beato loco,
	ove 'I mio cor co la sua donna alberga.
La prima quartina espone lo schema concettuale che poi si animera' nel seguito del sonetto. La "fronde" del v. 1 indica contemporaneamente il lauro come risultato della mitica metamorfosi di Dafne e come "senhal" di Laura. Essa si trova in mezzo tra "l'almo Sol", identificato con Apollo, gia' innamorato di Dafne, e l'affermazione dell'unicita' dell'amore del Petrarca per Laura. Simmetria accentuata dal fatto che "sola amo" e' quasi speculare ad "almo Sol". Questi gruppi sillabici ritornano nel v. 2 ("amasti", "or sola"), ma a cavallo d'una frattura cronologica e prosodica, tra i due amori, di Apollo e del Petrarca, sottolineata dall'opposizione tra "prima" ed "or". Il doppio simbolo della fronde e i suoi legami bivalenti con Apollo e col poeta son posti sullo stesso piano attraverso la consecuzione dei pronomi e dei verbi di prima e seconda persona: "io sola amo", "tu prima amasti". Solo in questo statico rigore la quartina poteva palesare il suo complesso schema inventivo: pertanto l'enjambement tra i vv. 2 e 3 ("al bel soggiorno" / "verdeggia"), sottolineato dalle due doppie "g", rassoda il blocco sintattico dei versi, come pure il richiamo tra prima (v. 2) e in prima (v. 4).

Diverso lo schema della seconda quartina. Prima la breve esortazione "Stiamo a mirarla", dove il plurale mantiene per un'ultima volta l'equivalenza dei due innamorati. Poi la frase in prima persona "i' ti pur prego e chiamo", il cui affanno ha il culmine nello sporgersi asimmetrico dell'invocazione "o Sole" nel v. 6. Infine le quattro brevi proposizioni legate paratatticamente dalla congiunzione "e". Queste proposizioni sono tutte in seconda persona: "tu... fuggi", "fai", "te ne porti", "mi toi", e ribadiscono l'inflessibilita' del sole che tramontando impedisce al poeta di contemplare la collina su cui abita Laura. Il contrasto fra il secondo e il terzo momento e' accentuato dall'opposizione tra 'ti pur prego' e 'tu pur fuggi'. L'unita' del terzo momento si esprime tra l'altro con la variazione "fuggi... fuggendo", le cui doppie palatali son pure presenti in "poggi". E non e' forse casuale il richiamo, a contrasto, fra l'enjambement centrale della prima quartina e quello centrale della seconda ("fai d'intorno" / "ombrare i poggi").

La situazione esposta nella seconda quartina ritorna con tono piu' elegiaco e descrittivo nelle terzine, il cui inizio si lega con la fine della quartina attraverso l'anagramma "bramo-ombra". In verita' le terzine oggettivano e ampliano il tema dell'ombra, enunciato soggettivamente nei vv. 6-7 ("fai d 'intorno" / "ombrare i poggi"): esse costituiscono un grande periodo con l'ombra come soggetto, e come verbo quel "torre" che chiudeva le quartine, con parallelismo anche sintattico tra i vv. 8 e I2:

v.8	e fuggendo mi toi quel ch'i' piu' bramo; 
	..........................................
v.12	crescendo mentr'io parlo, agli occhi tolle. 
Le terzine sono caratterizzate dalla frequenza della lettera "l": pari a quella dei primi due versi del sonetto: quasi un'allusione all'iniziale di Laura; solo il v. IO, con la sua abbondanza di "v", svolge una funzione imitativa, in senso luministico: "ove favilla il mio soave foco". Stilisticamente, le terzine sono legate attraverso gli "ove" all'inizio dei vv. 1O, 11, 14: "ove" e' come una freccia indicatrice verso il colle ove dimora Laura. C'e' poi un gioco di simmetrie e alternanze tra le coppie aggettivo piu' sostantivo: una nei vv. 9 ("umil colle") e 1O ("soave foco"), due nel v. 11 che chiude la prima terzina ("gran lauro"; "picciola verga"); mentre il v. 13 della seconda terzina, che ha ancora due coppie ("dolce vista"; "beato loco"), e' chiuso tra due versi a base complemento piu' verbo ("agli occhi tolle"; "co la sua donna alberga"). Non a caso i vv. 11 e 13, i soli con due coppie aggettivo piu' sostantivo, son quelli in cui domina la presenza di Laura ("ove 'l gran lauro fu picciola verga") e della sua dimora collinare ("la dolce vista del beato loco"): esplicitazione della fronda e del bel soggiorno allusivamente anticipati ai vv. 1 e 2. Ne' a caso le coppie aggettivo piu' sostantivo dei versi centrali delle terzine sono in rima e contengono ognuno uno iato ("soave"; "beato").


Quest'analisi di Cesare Segre esamina il sonetto petrarchesco strofa per strofa. Di ciascuna sono evidenziati i motivi che la caratterizzano.










Sergio Corazzini, La finestra aperta sul mare.

Tratta da Le aureole, una raccolta poetica del 1905, questa lirica esprime in modo assai esemplare il radicalismo espressivo del verso libero corazziniano, anzitutto per la presenza di versi del tutto eterogenei, per la variabilita' capricciosa delle strofe, per la bizzaria dell'enjambement.

	   Non rammento. Io la vidi
	aperta sul mare, 
	come un occhio a guardare,
	coronata di nidi.
5	Ma non so ne' dove, ne' quando,
	mi apparve; tenebrosa
	come il cuore di un usuraio,
	canora come l'anima
	di un fanciullo. Era
10	la finestra di una torre in mezzo al mare, desolata
	terribile al crepuscolo,
	spaventosa nella notte,
	triste cancellatura
	della chiarita' dell'alba.

15	   Le antichissime sale morivano
	di noia: solamente l'eco delle gavotte,
	ballate in tempi lontani
	da piccole folli signore incipriate,
	le confortava un poco.

20	   Qualche gufo co'i tristi
	occhi, dall'alto nido
	scricchiolante incantava
	l'ombra vergine di stelle.
	E non c'era piu' nessuno
25	da tanti anni, nella torre, 
	come nel mio cuore.

	   Sotto la polvere ancora,
	un odore appassito, indefinito,
	esalavano le cose,
30	come se le ultime rose
	dell'ultima lontana primavera
	fossero tutte morte
	in quella torre triste, in una sera triste.

	   E lacrimava per i soffitti
35	pallidi, il cielo, talvolta
	sopra lo sfacelo delle cose.
	Lacrimava dolcemente
	quietamente per ore
	e ore, come un piccolo fanciullo malato.
40	Dopo, per la finestra
	veniva il sole, e il mare,
	sotto, cantava.

	   Cantava l'azzurro amante,
	cingendo la torre tristissima
45	di tenerezze improvvise,
	e il canto del titano
	aveva dolcezze, sconforti,
	malinconie, tristezze
	profonde, nostalgie
50	terribili... Ed egli le offriva i suoi morti,
	tutte le navi infrante,
	naufragate lontano.

	   Una sera per la malinconia
	di un cielo che invano
55	chiamava da ore e ore
	le stelle, volarono via
	con il cuore
	pieno di tremore
	le ultime rondini e a poco
60	a poco nel mare
	caddero i nidi: un giorno
	non vi fu piu' nulla intorno
	alla finestra. Allora
	qualche cosa tremo'
65	si spezzo'
	nella torre e, quasi
	in un inginocchiarsi lento 
	di rassegnazione
	davanti al grigio altare
70	dell'aurora,
	la torre
	si dono' al mare.


Questa lirica infrange molte consuetudini della poesia italiana.