Il suffisso essa è pure di origine greca e corrisponde ad issa che si ha ad esempio in basilissa. Questo suffisso s'introdusse nella bassa latinità e si ebbero nomi come abbatissa, diaconissa ecc.... divenuti abbatessa (e poi la forma aferetica di badessa) e diaconessa; questo cangiamento di issa in essa è naturale alla lingua italiana che da spissus fa spesso, da ipse (= isso) fa esso.Fra i nomi italiani in essa abbiamo baronessa, balordessa, beatessa, boiessa, capitanessa, contessa, diavolessa, dogaressa (così dicevasi a Venezia la moglie del doge, e se fosse tal parola nata a Firenze si sarebbe avuto la forma: dogheressa), duchessa, fattoressa, mercantessa, padronessa, pittoressa, poetessa, principessa, viscontessa ecc....
Alcuni di questi nomi sono foggiati dal criterio di qualche scrittore, altri sono di origine popolare, come ad esempio lecconessa per dire "una donna ghiotta".
In toscano per contessa dicesi la conta, come in piemontese per baronessa dicesi barona, manifestandosi così qua e là la tendenza italiana all'a.
In francese abbiamo pure il suffisso issa rappresentato da esse che si ha in ânesse, tigresse ecc....
Gli animali possono formare una categoria a cui si applica questo suffisso e quindi si ha: lionessa, granchiessa, gamberessa; così per una specie di piviere hassi pivieressa; ha anche talvolta un significato mitigativo come invernessa de veneziani; ovvero deteriorativo come vinessa che corrisponde a vinaccia; può spesso dare al nome un significato speciale come coltellessa e pennellessa; negli scrittori toscani si trova libressa per un libro cattivo (v. Lapini Inst.Flav. Lin. 225) e ancoressa per una vecchia e cattiva ancora che non abbranca bene. Molti di questi nomi vengono anche creati per ischerzo.
Il Corssen nel suo Critische Beitrage mette innanzi invece della forma greca issa, delle forme etrusche come quelle che avrebbero prodotto nel latino la forma issa e quindi nell'italiano essa e cita le forme etrusche Apicesa e Latinisa con che si indicano le mogli di Aepico e di Latino. Ma questa idea del Corssen non ha tanto valore da potere distruggere la grande probabilità e quasi certezza che la forma essa rifletta il suffisso greco.
Gli scrittori poi foggiano molti di questi nomi e così nelle prose del Niccolini pubblicate dal Vannucci si trova capessa per capa cioè "direttrice".
Così nel napoletano si trova per una specie di stromento pettenessa e quindi pettenessiella e pettenessaro. Il toscano da pettine ha per derivato pettinella ma ha un significato speciale, "fiòcina".
Il piemontese ha pentrin; per pettine il piemontese ha pento, eliminato l'n e così per giovane fa giovo e l'n si ritrova nel feminino che è giuvna; così pure per màngiano il piemontese fa mangio, per Stefano fa Stevo, per settimo fa seto, per Giacomo fa Giaco e marmo in piemontese non risponde già a marmo italiano che vien da marmor come sarto vien da sartor ma risponde a marmore già che marmor in piemontese avrebbe dato marm; e questo concorda eziandio coi dialetti dove si trovano le forme marmolo, marmoro ecc....
Lo stesso piemontese dice per un bambino vivace che è uno sfurgu, e in questo si riflette il fulgure latino.
Dalla osservazione di queste trasformazioni subite dagli sdruccioli latini nel passare al piemontese, si deduce che la parola piemontese givo colla quale viene indicato in quel dialetto "lo scarafaggio colle pinse", deve riflettere uno sdrucciolo. Troppo in lungo ci tirerebbe d'investigare quale sia questo sdrucciolo, al quale però la forma givo ci deve necessariamente ricondurre come omi plurale di om ci conduce ad homines; om riflette homo.