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Corriere della Sera
Domenica, 3 Novembre 1996
Cronache italiane

 

Così la politica «bacchetta» il linguaggio

di GIULIO NASCIMBENI

 

 

Per sei giorni, da giovedì 17 a martedì 22 ottobre, i titoli comparsi sulle prime

pagine dei maggiori quotidiani italiani sono stati schedati da Piero Ottone per

«L'Espresso». Le parole dominanti erano di tipo guerresco. Muovendo da

«schiaffo», l'elenco di Ottone comprende: rivolta, rivoluzione, attacco, battaglia,

blitz, siluro, dietrofront, bandiera bianca, con l'aggiunta di termini che, se non

sono rigidamente militareschi, danno comunque l'idea di un'allarmante situazione:

bufera, tempesta, rabbia e, perfino, ruggito. Uno dei titoli citati dice, infatti: «Il

Cocer ruggisce: giù le mani dall'Arma». Una variante, mi permetto di aggiungere,

al frequentissimo uso del verbo «tuonare».

 

Da dove deriva questo linguaggio d'emergenza? Dalle condizioni del Paese, dalla

necessità di sintesi che i titoli impongono o dalla convinzione che la carta

stampata debba ricorrere a un'informazione da battaglia? Restando, secondo i

limiti di questa rubrica, nel campo delle parole credo si possa parlare di un

influsso del linguaggio della politica: linguaggio che, come sappiamo, risulta dalla

confluenza di elementi eterogenei e dall'apporto di altri linguaggi specialistici.

 

Nel suo non dimenticato libro «Italiano antico e nuovo» (ed. Garzanti, 1988), Gian

Luigi Beccaria riportava una fittissima lista di espressioni tattico-strategiche,

approdate nella politica: aggiramento, strategia delle riforme, intaccare la linea,

reclutare, mobilitazione, fare terra bruciata, guadagnare terreno, sganciarsi,

scendere in campo, capitolare, diversione, sabotaggio, scontro frontale, sortita,

stato d'assedio, venire allo scoperto, tregua armata, schieramento, manovra,

contromanovra, ultimatum, attacco frontale, rettificare il tiro...

 

Dalla guerra alla politica, dalla politica ai titoli dei giornali: il cammino è stato

questo. Giusto segnalare, pertanto, un tocco di novità già affiorato in questi mesi,

ma arrivato in primo piano proprio tre giorni fa: non più la guerra a far da

suggeritrice, ma i fantasmi della pedagogia repressiva. Romano Prodi parla di

ostruzionismo dell'opposizione? Secca la replica del presidente della Camera

Violante: l'opposizione fa quello che deve fare. E, dunque, «Violante bacchetta

Prodi», dicono i titoli.

 

E evidente che non siamo alle punizioni corporali, ma il potere metaforico di

questo verbo, «bacchettare», ci porta lontano. Verso remote scene crudeli viste in

qualche film, in qualche illustrazione ottocentesca dei lacrimosi libri di Hector

Malot, o lette nelle cronache indignate riguardanti maestri o precettori senza

cuore.