Per sei giorni, da giovedì 17 a martedì 22 ottobre, i titoli comparsi sulle prime
pagine dei maggiori quotidiani italiani sono stati schedati da Piero Ottone per
«L'Espresso». Le parole dominanti erano di tipo guerresco. Muovendo da
«schiaffo», l'elenco di Ottone comprende: rivolta, rivoluzione, attacco, battaglia,
blitz, siluro, dietrofront, bandiera bianca, con l'aggiunta di termini che, se non
sono rigidamente militareschi, danno comunque l'idea di un'allarmante situazione:
bufera, tempesta, rabbia e, perfino, ruggito. Uno dei titoli citati dice, infatti: «Il
Cocer ruggisce: giù le mani dall'Arma». Una variante, mi permetto di aggiungere,
al frequentissimo uso del verbo «tuonare».
Da dove deriva questo linguaggio d'emergenza? Dalle condizioni del Paese, dalla
necessità di sintesi che i titoli impongono o dalla convinzione che la carta
stampata debba ricorrere a un'informazione da battaglia? Restando, secondo i
limiti di questa rubrica, nel campo delle parole credo si possa parlare di un
influsso del linguaggio della politica: linguaggio che, come sappiamo, risulta dalla
confluenza di elementi eterogenei e dall'apporto di altri linguaggi specialistici.
Nel suo non dimenticato libro «Italiano antico e nuovo» (ed. Garzanti, 1988), Gian
Luigi Beccaria riportava una fittissima lista di espressioni tattico-strategiche,
approdate nella politica: aggiramento, strategia delle riforme, intaccare la linea,
reclutare, mobilitazione, fare terra bruciata, guadagnare terreno, sganciarsi,
scendere in campo, capitolare, diversione, sabotaggio, scontro frontale, sortita,
stato d'assedio, venire allo scoperto, tregua armata, schieramento, manovra,
contromanovra, ultimatum, attacco frontale, rettificare il tiro...
Dalla guerra alla politica, dalla politica ai titoli dei giornali: il cammino è stato
questo. Giusto segnalare, pertanto, un tocco di novità già affiorato in questi mesi,
ma arrivato in primo piano proprio tre giorni fa: non più la guerra a far da
suggeritrice, ma i fantasmi della pedagogia repressiva. Romano Prodi parla di
ostruzionismo dell'opposizione? Secca la replica del presidente della Camera
Violante: l'opposizione fa quello che deve fare. E, dunque, «Violante bacchetta
Prodi», dicono i titoli.
E evidente che non siamo alle punizioni corporali, ma il potere metaforico di
questo verbo, «bacchettare», ci porta lontano. Verso remote scene crudeli viste in
qualche film, in qualche illustrazione ottocentesca dei lacrimosi libri di Hector
Malot, o lette nelle cronache indignate riguardanti maestri o precettori senza
cuore.