Indagine Istat: la regione più purista è la Toscana, il Veneto quella più amante del vernacolo
di N. Materi
Crolla un mito: la Toscana, patria del Vernacoliere, testata cult del giornalismo dialettale, è la regione in cui si parla di più l'italiano. A fortificare le roccaforti del dialetto restano invece il Veneto e il Meridione. Nel complesso, crescono l'uso della lingua nazionale e l'alternanza tra italiano e dialetto in famiglia e nei rapporti con gli amici, in particolare tra i bambini e nei piccoli centri.
E' questo il quadro che emerge dall'indagine "Tempo libero e cultura", condotta dall'Istat alla fine del 1995 su un campione di circa 21.000 famiglie e in tre ambiti relazionali: la famiglia, gli amici e gli estranei. Confermando i dati della ricerca "Letture, mass media e linguaggio", realizzata tra l'87 e l'88, la patria di Dante è in testa alla classifica delle regioni in cui si usa in prevalenza l'italiano: nell'87,4% dei casi in famiglia e nel 91,9 con gli estranei. In generale, l'83,8% dei toscani parla sempre l'italiano. Morale: nell'attesa che s'avveri la profezia del linguista Gian Carlo Oli, che condanna l'idioma di Dante a sparire nel giro di un paio di secoli, per ora l'italiano sembra deciso a vendere cara la pelle. Sopravvive però il vizio di far uso dei famigerati forestierismi, tanto che il buon Cesare Marchi usava ripetere che «in quanto a lingua gli italiani assomigliano a dei miliardari che vanno a chiedere l'elemosina all'estero». Decisamente in controtendenza è il Veneto, dove il dialetto è pratica comune nel 52,7% delle famiglie, nel 42,3% con gli amici e nel 17,2% con gli estranei. Il 16,3% della popolazione con 6 anni e più usa esclusivamente il dialetto.
Quanto al resto d'Italia, parlano sempre in italiano il 60% dei liguri e il 57,8% dei laziali; al di sotto della soglia nazionale, gli abitanti della Puglia, del Friuli Venezia Giulia, dell'Abruzzo, delle Marche, del Molise e della Basilicata, con una quota compresa tra il 20 e il 30%. In Sicilia, Calabria e Campania la percentuale è inferiore al 20%.
Nel complesso, secondo l'indagine Istat, sono circa 24 milioni (il 44,6% del totale) le persone che parlano soltanto o prevalentemente l'italiano in famiglia, 12 milioni e 600 mila (23,6%) quelle che usano soprattutto il dialetto, mentre ammontano a poco più di 15 milioni (28,3%) coloro che alternano italiano e dialetto. Nei rapporti con gli altri si parla solo o in prevalenza l'italiano: il 47,3% con gli amici e il 71,5% con gli estranei. Specularmente, la percentuale di coloro che parlano solo il dialetto si attesta al 16,6% nelle relazioni con gli amici e al 6,8% in quelle con gli estranei. Restano consistenti le quote di persone che parlano alternativamente italiano e dialetto in famiglia (28,3%) e con gli amici (32,1%), in particolare tra coloro che hanno un titolo di studio medio-basso (licenza elementare o diploma di scuola media inferiore).
Significativa, rispetto all'87-88, la crescita dell'usa dell'italiano tra i bambini, e soprattutto tra le bambine, con età compresa fra i 6 e i 10 anni: il 66,9% lo parla in famiglia, il 68,6% con gli amici e l'81,7 con gli estranei.
Notevole anche l'aumento nei comuni con meno di 2.000 abitanti, dove la quota di coloro che parlano italiano è passata dal 25,5% di nove anni fa al 31,4%. Una testimonianza, spiegano all'Istat, del «notevole processo di omogeneizzazione culturale realizzato dai mass media, specie dalla tivù».
Ma a ben guardare c'è poco da essere soddisfatti se è vero che l'italiano unificante di oggi non è più la lingua di Dante ma quella anonima e sbiadita della televisione.