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Corriere della Sera
Venerdì, 16 Maggio 1997
Cronache italiane

 

L'«Independent»: ridicoli quando usate la nostra lingua

 

Ma anche gli inglesi scrivono «mafiosos» e «referendums»

 

Beppe Severgnini

 

Il quotidiano The Independent scrive che gli italiani, quando parlano o

scrivono in inglese, sono ridicoli. Feriti nell'orgoglio intendiamo

difenderci.

 

Per cominciare, signori della corte, vediamo l'accusa. Il quotidiano

britannico - non più venduto come un tempo, ma tant'è - sostiene che in

Italia gli innamorati si salutano con «Hallo, honeychop» (traduzione:

ciao, dolcezza), un'espressione appresa dalla pubblicità; che i

giornali sono pieni di parole come «story», «lady», «vip» e «baby»

(anche quando si parla di pensionati 45enni); che viene usata ad

nauseam la parola «killer». A tutti questi vocaboli, prosegue l'autore

dell'articolo (quattro colonne nelle pagine interne, con foto di

Lamberto Dini), gli italiani non aggiungono neppure la «s» al plurale.

In sostanza, sostiene il quotidiano londinese, «è impossibile penetrare

le mistificazioni linguistiche della moderna cultura italiana senza

conoscere la lingua inglese». Ebbene, signori della corte, lasciateci

esprimere un dubbio: e se sotto la nostra commovente esterofilia, si

celasse una rustica astuzia? L'adozione di alcuni vocaboli inglesi è

dettata, in fondo, dal buon senso. I «film di cowboy» saranno sempre

più attraenti di «lungometraggi sui ragazzi delle mucche». Chi

intendesse combattere contro le parole come «film» e «cowboy», perciò,

sarebbe un kamikaze: e noi italiani, per questo tipo di eroismi, non

abbiamo la stoffa.

 

Non solo. Molte parole ci appartengono, come «facsimile» (da cui

«fax»), «plus» o «mass media»: ci siamo limitati a riprendercele.

Inoltre, come sostiene il filologo americano Stuard B. Flexner (che

citiamo tra i testimoni della difesa), «l'inglese è una lingua che non

si ama: si usa». Noi lo facciamo: alla nostra maniera. Nella nostra

protervia linguistica c'è molta praticità - e solo un po' di sadismo.

Quando il principe Carlo e l'ultraconservatore Enoch Powell si

lamentano «per le violenze che la loro lingua subisce nel mondo», ci

ribelliamo. Quella lingua non è più loro. L'hanno affittata al mondo,

ne hanno ricavato un buon prezzo e molte facilitazioni. Oggi l'inglese

è di tutti; anche nostro, quindi. Quello che possiamo fare, al massimo,

è rilasciare regolare ricevuta.

 

C'è dell'altro, signori della corte. Nei secoli, l'inglese ha praticato

identiche violenze. Viaggio dopo viaggio, guerra dopo guerra, ha

arraffato, masticato, maciullato e digerito decine di migliaia di

vocaboli, anche italiani (tra cui: ciao, bandito, spaghetti, ravioli,

piano, sottovoce, dolce vita e - naturalmente - mafioso). Alcune di

queste parole sono state manomesse: in inglese, oggi, «confetti» vuol

dire «coriandoli»; «bimbo» è una bella ragazza un po' stupida. Ora è

giunta l'ora - dolcissima - della vendetta: noi prendiamo le parole

inglesi e ne facciamo quello che vogliamo.

 

Molti nostri abusi, oltretutto, hanno una spiegazione logica. Sapete

perché i giornali ricorrono spesso a parole inglesi? Perché sono corte:

l'orribile «vip» ha tre lettere; «persona molto importante», ventidue.

Il killer è lungo metà dell'assassino.

 

Non abbiamo finito, signori giurati. L'accusa - nella persona di Andrew

Gumbel, corrispondente dell'Independent da Roma - lamenta il fatto che

noi italiani prendiamo i vocaboli inglesi e non ci preoccupiamo neppure

di mettere la «s» al plurale. E perché dovremmo? Film e sport sono

ormai parole italiane. Gli inglesi, forse, si degnano di scrivere

«mafiosi» e «referenda»? No: dicono «mafiosos» e «referendums». Quindi,

pari siamo. La nostra colpa, semmai, è usare parole inglesi quando

esiste un equivalente italiano («pubblico» per «audience»; «quota» per

«share»); e di usarle credendo che siano importanti. Ma anche qui,

signori giurati, invochiamo le attenuanti: l'uso indiscriminato di

parole come «manager» (un capoufficio che si è montato la testa) e

«briefing» (il suddetto capoufficio ti deve dire qualcosa) servono a

rendere più allegra la giornata di lavoro. E togliere ai nostri

governanti la possibilità di parlarci di «welfare» è pericoloso: c'è il

rischio di capire le cose che vanno tramando.

 

Siamo alle conclusioni, signori giurati. Chiediamo l'assoluzione del

popolo italiano perché il fatto non sussiste. Noi non prendiamo

malamente in prestito, come sostiene Andrew Gumbel sull'Independent.

Noi rubiamo, che è un'altra cosa.


Per informazioni e suggerimenti:
Stefania Spina
sspina@sspina.it