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Corriere della Sera
Martedì, 4 Novembre 1997
Cronache

 

I lessicologi inglesi «riscrivono» la storia con i principali neologismi

entrati nel dizionario

 

Le cento parole del secolo

 

Da radioactivity a blairite, passando per Watergate e Aids

 

Beppe Severgnini

 

Se l'inglese è la lingua del mondo (lo è), dobbiamo perdonare agli inglesi

questa ennesima, ma utile, arroganza: hanno scritto la storia

del secolo attraverso cento neologismi, scelti tra le migliaia di

parole che ogni anno fanno il loro ingresso (trionfale, truffaldino,

silenzioso) nella loro lingua.

 

L'operazione è stata compiuta dai lessicografi dei dizionari Collins, e

commentata ieri da Philip Howard sul «Times» di Londra.

 

Prima di addentrarci nell'elenco, due considerazioni. La prima: il

quadro generale è piuttosto fosco; ovvero, le parole preoccupanti sono

più numerose di quelle allegre. La seconda: l'inizio è più serio della

fine. Si comincia infatti nel 1896 con radioactivity e si termina nel

1997 con blairite (fan di Tony Blair). Manca invece thatcherism. Se

fossimo nei lessicografi di Harper Collins, vivremmo nel terrore della

signora.

 

Vediamo, dunque, come la storia è passata di bocca in bocca. La prima

decade inizia con fingerprint (impronte digitali, 1901), usate per la

prima volta in India, poi in Inghilterra e nei libri gialli: un segnale

che, nel corso del ventesimo secolo, i delinquenti da identificare

sarebbero stati parecchi. Si passa poi a Teddy bear (1902,

l'orsacchiotto), tarmac (asfalto, 1903), suffragette (1906), allergy

(1907) per arrivare a jazz (etimologia incerta, 1909). Negli anni

Dieci, è subito chiaro che qualcosa non va. La parola del 1911 è air

raid; quella del 1912 schizophrenia; quella del 1915 tank. Cheka,

Bolshie e fascism tengono banco dal 1917 al 1919. Nel 1926, arriva

l'inquietante television, vocabolo bastardo: avrebbe dovuto essere

Proculvision, se si optava per il latino; o Teleopsis, se si sceglieva

il greco.

 

Negli anni Trenta incontriamo la Gestapo (1933) e Mickey Mouse (1936),

un nome che poteva indurre qualche speranza. Gli anni Quaranta

dimostrano che il mondo si sbagliava: si va infatti da jeep (1940) a

radar (1941, gli inglesi ce l'avevano, e noi no) fino a bikini (1946),

indumento sexy ma nome grave: è infatti quello dell'atollo dove in

luglio venne provata la bomba atomica. I due vocaboli successivi

introducono la guerra fredda: Big Brother (grande fratello, 1949) e

Nato (1950). Che negli anni Cinquanta la gioventù si dedicasse anche ad

altro è dimostrato dai seguenti neologismi: discoteca (1951), stoned,

ovvero sotto l'influenza di droghe (1952), rock'n roll (1953), Teddy

Boy (1954), Lego (1955, dal danese «leg godt», gioca bene), Angry Young

Man (1956, giovani arrabbiati). Negli anni Sessanta si va dalla

vendetta di Montezuma del 1962 (diarrea turistica, segno dei tempi)

alla minigonna del 1965 alla Rivoluzione Culturale del 1966 fino al

Moon Buggy del 1969. Il decennio successivo sforna vocaboli prolifici:

Watergate nel 1972, da cui molti scandali del mondo (anche più seri

dell'originale) presero il nome; punk nel 1976 (che ha figliato molte

rumorose mode musicali, tra cui il grunge); e ERM/European Exchange

Mechanism del 1977, il papà della futura EMU/Unione Monetaria Europea.

 

Siamo in dirittura d'arrivo: i neologismi diventano quasi ovvii. Nel

1982 sbarcano i CD/compact disc, che dopo breve ma cruenta battaglia

distruggono gli LP/Long Playing. Nel 1983, c'è l'AIDS. Nel 1984 gli

yuppies, e l'anno dopo la glasnost. Nel 1989 la bella rivoluzione di

velluto seguita dall'orribile ethnic cleansing (pulizia etnica, 1991),

dalla futuristica information superhighway (1993) e dall'insulso

alcopop (1996), bevanda alcolica dolce che ha entusiasmato i minorenni

britannici (solo loro, per adesso).

 

Come abbiamo spiegato, tutto questo riguarda la lingua inglese. Sarebbe

interessante ripetere l'esperimento con l'italiano, e vedere quando

siamo arrivati tardi e quando, invece, abbiamo anticipato i tempi.

Perché è accaduto anche questo.

 

Se l'espressione VAT (Value Added Tax, imposta sul valore aggiunto), è

il neologismo inglese del 1973, la nostra IVA risale al 1972. In alto i

cuori, dunque: in materia di tasse, non ci batte nessuno.