di GIULIO NASCIMBENI
Se è vero che ogni venti parole che pronunciamo una è straniera
(comprendendo nel calcolo anche i vocaboli latini), «è presumibile che,
ad onta dell'invasione inglese, una buona parte di esse continui a
venire dalla Francia. Come dire che, nonostante tutto, non si vive di
solo inglese». Così scrive su «Lingua nostra» Marco Fantuzzi, docente
all'Università di Ginevra, autore di un'eccellente ricerca su quelle
parole e locuzioni che, pur avendo forma italiana, sono di origine
transalpina.
Il campo d'osservazione è stato quello dei giornali e della politica.
Fantuzzi si è limitato a citare i termini francesi usati tali e quali,
tipo élite, querelle, patron, refrain, menu, Ancien régime, force de
frappe, d'antan, cul de sac, tranchant, physique du r-ole... Gli
interessava soffermarsi «sulla parte meno visibile dell'iceberg», cioè
sui francesismi più recenti.
Un primo esempio: la nostra «politica politicante» è un calco della
politique politicienne, locuzione con cui un francese esprime gli
aspetti meno nobili della politica. Altro esempio: il verbo
«sdoganare», registrato fin dal 1735 nel senso di «svincolare la merce
trattenuta in dogana», diventa un calco di dédouaner quando è usato
figuratamente nel senso di «ottenere riconoscimento, legittimazione,
riabilitazione». Lo si è applicato soprattutto nei confronti dei
postfascisti e dei postcomunisti. Di chiara derivazione francese è
l'espressione molto in voga «piantare i paletti» (da poser/placer des
jalons). Nota Fantuzzi: «Tra giornalisti, commentatori, ministri,
sindacalisti e cardinali, è tutto un frenetico picchettare».
La lista dei francesismi di conio e impiego recenti comprende anche
«battere in breccia», «mettere i piedi nel piatto», «essere nelle
corde», «avere piombo nelle ali» (la metafora, di origine venatoria, fu
scelta da Bertinotti nel '94 per respingere un allargamento della
sinistra verso il centro), «bassa cucina politica», «tela di fondo»,
«volare alto», «traversata del deserto», «vecchie lune» (per indicare
persone e idee non più di moda), «blindare».
Piace concludere con la metafora più celebre e più bella, usata per
esprimere la durata limitata, effimera, di un governo, di una corrente,
di una presa di posizione, di una promessa elettorale, di un accordo:
«lo spazio d'un mattino», l'espace d'un matin. Il verso da cui
l'immagine deriva è di Fran-´ois de Malherbe (1555-1628) e si riferisce
alla fuggevole vita delle rose. Sinceramente, non conosco un caso più
crudele di degrado: dalle rose, dalla poesia, alla «bassa cucina» della
politica. Né mi consola, in nome del mestiere che faccio, sapere che
anche i giornali durano «lo spazio d'un mattino».