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Corriere della Sera
Domenica, 4 maggio 1997
Cronache italiane

 

IN ALTRE PAROLE

 

I francesismi della politica politicante

 

di GIULIO NASCIMBENI

 

Se è vero che ogni venti parole che pronunciamo una è straniera

(comprendendo nel calcolo anche i vocaboli latini), «è presumibile che,

ad onta dell'invasione inglese, una buona parte di esse continui a

venire dalla Francia. Come dire che, nonostante tutto, non si vive di

solo inglese». Così scrive su «Lingua nostra» Marco Fantuzzi, docente

all'Università di Ginevra, autore di un'eccellente ricerca su quelle

parole e locuzioni che, pur avendo forma italiana, sono di origine

transalpina.

 

Il campo d'osservazione è stato quello dei giornali e della politica.

Fantuzzi si è limitato a citare i termini francesi usati tali e quali,

tipo élite, querelle, patron, refrain, menu, Ancien régime, force de

frappe, d'antan, cul de sac, tranchant, physique du r-ole... Gli

interessava soffermarsi «sulla parte meno visibile dell'iceberg», cioè

sui francesismi più recenti.

 

Un primo esempio: la nostra «politica politicante» è un calco della

politique politicienne, locuzione con cui un francese esprime gli

aspetti meno nobili della politica. Altro esempio: il verbo

«sdoganare», registrato fin dal 1735 nel senso di «svincolare la merce

trattenuta in dogana», diventa un calco di dédouaner quando è usato

figuratamente nel senso di «ottenere riconoscimento, legittimazione,

riabilitazione». Lo si è applicato soprattutto nei confronti dei

postfascisti e dei postcomunisti. Di chiara derivazione francese è

l'espressione molto in voga «piantare i paletti» (da poser/placer des

jalons). Nota Fantuzzi: «Tra giornalisti, commentatori, ministri,

sindacalisti e cardinali, è tutto un frenetico picchettare».

 

La lista dei francesismi di conio e impiego recenti comprende anche

«battere in breccia», «mettere i piedi nel piatto», «essere nelle

corde», «avere piombo nelle ali» (la metafora, di origine venatoria, fu

scelta da Bertinotti nel '94 per respingere un allargamento della

sinistra verso il centro), «bassa cucina politica», «tela di fondo»,

«volare alto», «traversata del deserto», «vecchie lune» (per indicare

persone e idee non più di moda), «blindare».

 

Piace concludere con la metafora più celebre e più bella, usata per

esprimere la durata limitata, effimera, di un governo, di una corrente,

di una presa di posizione, di una promessa elettorale, di un accordo:

«lo spazio d'un mattino», l'espace d'un matin. Il verso da cui

l'immagine deriva è di Fran-´ois de Malherbe (1555-1628) e si riferisce

alla fuggevole vita delle rose. Sinceramente, non conosco un caso più

crudele di degrado: dalle rose, dalla poesia, alla «bassa cucina» della

politica. Né mi consola, in nome del mestiere che faccio, sapere che

anche i giornali durano «lo spazio d'un mattino».