A COLLOQUIO

CON ALESSANDRO

BARICCO

 

Alessandro Baricco è nato a Torino nel 1958. E’ critico e studioso musicale, scrittore, conduttore di trasmissioni televisive dedicate ai libri e alla musica. E’ uno dei fondatori della scuola Holden di Torino, una scuola di scrittura dove si insegnano tecniche della narrazione.

Ha pubblicato:

“Genio in fuga: due saggi sul teatro musicale di Gioacchino Rossini”, Il Melangolo, 1988

“Castelli di rabbia”, Rizzoli, 1991 (romanzo)

“L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin: una riflessione su musica colta e modernità”, Garzanti, 1992

“Oceano mare”, Rizzoli, 1993 (romanzo)

“Novecento: un monologo”, Feltrinelli, 1994 (romanzo)

“Barnum: cronache dal Grande Show”, Feltrinelli, 1995 (raccolta di articoli)

“Seta”, Rizzoli, 1996 (romanzo)

Lo abbiamo incontrato in occasione di una sua conferenza agli studenti dell’Università per Stranieri.

 

Quali sono i tratti distintivi della narrativa italiana degli ultimi 20 anni?

In Italia dagli anni Ottanta si è fatta una letteratura molto varia; dopo un passaggio a vuoto, si sono fatti tanti esperimenti differenti. Questo impedisce oggi di parlare di una letteratura italiana o di una narrativa italiana, è difficile raccoglierla sotto un unico ombrello. E’ una delle difficoltà che abbiamo per venderla all’estero: non possiamo ricondurre la pluralità degli esperimenti ad una unità di marca, ad una etichetta buona per il mercato.

Questo è uno svantaggio in termini commerciali, ma anche di conoscenza: il mondo sa poco di cosa facciamo. E’ però un vantaggio per noi, perché significa una ricchezza di contributi molto differenti, di approcci.

Vista da vicino, la letteratura italiana è interessante, in questo momento in Europa è una delle più interessanti. Abbiamo il problema di interessare gli altri a tutto questo, anche perché in 15 anni abbiamo prodotto molti bei libri, ma ci mancano forse uno, due, tre libri in grado di elevarsi sopra la media, per la qualità. Del resto, quei libri lì vengono allo scoperto nel tempo, bisogna farli decantare un po’.

Qualità e mercato. Due termini in contrapposizione od esiste una possibilità per unirli?

Non c’è nessuna dicotomia vera tra libro che vende molto e libro di grande qualità, poteva esistere un tempo. Oggi un film molto bello vende, non sarà in vetta alle classifiche, ma comunque vende. Per la narrativa è di nuovo così, non si può pensare che sia come ai tempi di Wagner o di Beethoven in cui l’artista è sempre quello che è 10 chilometri più avanti del pubblico. Questo è un dato che appartiene alla mia generazione e a quelle successive. Coloro che hanno più di 40 anni vivevano nella certezza che il mercato e la qualità fossero due cose sostanzialmente inconciliabili, mentre, man mano che si consumano le vicende delle generazioni, si coltiva un’idea differente, che il mercato e la qualità è come se fossero uno dentro l’altro. La sfida bella è questa; è anche rischiosa, ma bella.

 

In questo contesto quale è il ruolo della televisione?

Una delle premesse a questo tipo di convinzione è che occorre accettare il mondo della cultura come un ecosistema, dove non si può pensare di abitare la savana, da soli, senza sapere cosa succede nella foresta. Invece viviamo in un cortocircuito di messaggi, di segnali, di comunicazioni che rappresentano un tutto, da cui non è possibile astenersi. Per cui oggi fare libri e rifiutare la televisione non è esattamente l’esserci, qui in questo mondo nostro. Naturalmente ci sono cose che ci possono piacere di più e cose che ci possono piacere di meno; in questo ecosistema c’è anche il pantano, poi c’è la neve, c’è tutto. Ma non c’è neve senza pantano, bisogna prenderne atto, non tristemente; trovo abbastanza allegro il fatto che ci sia la televisione, che facciano delle porcherie, tutto partecipa anche a quello che faccio io.

 

Accanto a tutto questo c’è anche l’esperienza della scuola di scrittura, una delle prime in Italia. Quali sono i modelli di riferimento?

E’ una scuola che non esiste altrove; si chiama di tecniche della narrazione, perché l’idea centrale è che si debba costruire una sensibilità al racconto che poi può essere applicata, secondo i talenti dell’allievo, nei campi più diversi, in zone diverse dell’ecosistema. Una volta che si riesce a tirare fuori le capacità dello studente nell’organizzare una storia, può andare poi a fare spot pubblicitari o scrivere film, pièces teatrali, racconti o romanzi, secondo il mestiere o la sua maturazione. Quello che intendiamo costruire è la competenza di chi sa muoversi nel mondo della narrazione con molta più consapevolezza del normale.

Quello che facciamo è costringere gli studenti a costruire storie in campi molto diversi: frequentano due ore di lezione di fumetto, poi studiano Flaubert e i film di Sergio Leone. Tutto questo fa sì che in realtà dimentichino gran parte di quello che imparano, perché è un bombardamento continuo, ma resta dentro di loro il fatto di esserci stati in diversi momenti, posti, luoghi con persone che hanno raccontato. Alla fine escono con una sensibilità molto alta. Questa è l’idea. E’ diverso dall’insegnare a scrivere nel senso della scrittura creativa, è una concezione più europea, quello che possiamo fare noi qui, perché imitare semplicemente gli americani sarebbe un disastro, produrremmo dei piccoli robot.

 

Cosa consiglia di leggere riguardo agli autori italiani degli ultimi anni?

Riguardo agli scrittori, ce ne sono due o tre che scrivono meglio degli altri, tecnicamente, hanno un talento superiore, ad esempio Del Giudice, che scrive benissimo. Se uno vuol leggere qualcosa che sia molto ben scritto legga i suoi libri. Uno scrittore che nel tempo ha raggiunto una maturità narrativa notevole, di livello europeo, è Tabucchi. L’ultimo suo libro, Sostiene Pereira, è un libro costruito molto bene, scritto bene, niente di rivoluzionario, ma un libro di valore. C’è un altro italiano molto conosciuto, purtroppo non tradotto all’estero, che a livello di virtuosismo tecnico è formidabile, si chiama Dario Voltolini, ha scritto tre libri. Una ragazza giovane, che si chiama Silvia Ballestra è un talento letterario, ed è curioso stare a vedere dove andrà a finire. C’è poi un giovanissimo, si chiama Tiziano Scarpa, che ha pubblicato Occhi sulla graticola. Sandro Veronesi è un autore interessante. A parte c’è il caso Eco, da leggere comunque, se non altro per leggere l’unico autore italiano che vende in tutto il mondo, (escludendo Susanna Tamaro).

Più in generale, c’è una grande ricchezza di libri imperfetti; a me affascinano molto: ne leggo 40 pagine, li butto via, però ho l’impressione di un paese che ci sta provando e riesce anche a fare cose molto bene.

Oggi in Italia succede una cosa che non è successa mai; quelli che come me scrivono, scrivono in un momento che non c’è nessun grande vivente, non c’è nessun guru, sono morti tutti. Non abbiamo un Moravia, un Calvino, e nemmeno Gadda, Sciascia, Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Manzoni, non c’è nessuno sul piedistallo. Questo dà una certa libertà a noi che scriviamo, e ci priva anche di una specie di prestigio, di autorevolezza che questi uomini e maestri hanno avuto. Anche all’estero l’immagine della letteratura diviene più indistinta, perchè non ci sono dei riferimenti quando non hai dei grandi viventi. Abbiamo questa bella cosa: stiamo costruendo quelli che tra trenta anni saranno grandi, è affascinante.

 

Susanna Bruni