GLI ITALIANI

IN ARGENTINA

O GLI ITALIANI

D’ARGENTINA?

 

 

 

Simonetta Michelotti è laureata in Storia dei Trattati e svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Studi Storici, Giuridici, Politici e Sociali dell’Università degli Studi di Siena.

 

 

I legami storico-politici tra Argentina e Italia risalgono a ben prima della nascita del Regno d’Italia: già nel 1776 la presenza di immigrati italiani nella regione del Rio de la Plata fu significativa. Dopo i moti del 1821, alla migrazione dei lavoratori si aggiunse quella degli esuli politici: non solo braccia e spirito imprenditoriale, ma anche ideologia e cultura optarono per la via argentina.

Durante la dittatura di Rosas, negli anni 1830-1853, la colonia ligure - che rappresentava il nucleo locale più numeroso - trasse considerevoli vantaggi economici dalla navigazione mercantile clandestina, sulla quale il regime chiuse benevolmente un occhio. L’inizio delle relazione diplomatiche impropriamente definite italo-argentine - in realtà tra Argentina e Regno di Sardegna - fu una diretta conseguenza dell’acquisizione di un ruolo rilevante da parte della comunità ligure: il primo trattato italo-argentino fu stipulato nel 1855. Ai liguri erano andati associandosi immigranti provenienti dalle province sabaude di Alessandria, Cuneo e Torino.

Il contributo italiano all’indipendenza argentina, alla creazione di un movimento sindacale e alle guerre civili fu determinante. Rappresentando la fonte principale di manodopera da cui i latifondisti attingevano, gli italiani, insieme agli immigrati dagli altri paesi mediterranei, furono molto attivi nelle organizzazioni sindacali introducendovi dapprima, nell’Ottocento, idee mazziniane e proto-socialiste, e di stampo anarchico agli inizi del Novecento.

La storiografia tradizionale pone la fine della guerra tra Paraguay e Argentina come spartiacque dello sviluppo industriale di quest’ultima, sviluppo nel quale gli italiani ricoprirono un ruolo importante. Prima di tutto da un punto di vista numerico: tra il 1876 e il 1925 oltre due milioni di italiani emigrarono in Argentina, con punte massime tra il 1871 e il 1890. La presenza italiana, nel suo insieme, non ebbe eguali nell’arco del secolo che va dal 1870 al 1970, anche se dagli anni Quaranta in poi il flusso migratorio rallentò notevolmente.

Tra il 1880 e il 1914, l’economia argentina conobbe uno dei tassi più alti di crescita nel mondo: il settore leader fu rappresentato dall’agricoltura cerealicola, seguito a ruota dall’allevamento del bestiame. Per i cereali, l’Argentina passò ben presto da grande importatrice a massima esportatrice, sulle ali dell’incremento della domanda internazionale che cresceva di pari passo con lo sviluppo economico dell’Europa. La prima forma di coltivazione estensiva dei cereali fu attuata dalla colonia svizzera intorno al 1850, ma il vero boom si ebbe in seguito con l’apporto massiccio dei contadini provenienti dalla Lombardia e dal Piemonte, che si distinsero per le capacità nel coltivare la terra e per la quantità di terra stessa messa a coltivazione. Tuttavia, altri erano gli elementi necessari che, combinati tra loro, potevano creare una fase di crescita economica: se gli italiani dal canto loro offrirono esperienza e manodopera, l’apporto di capitali stranieri - soprattutto britannici -, le riforme legali del governo centrale e la creazione di una rete ferroviaria rappresentarono tre contributi allo sviluppo argentino inscindibili tra loro. Secondo il Censimento del 1895 la gestione delle industrie e il commercio erano per l’80% in mano a stranieri.

Gli italiani si presentarono sulla scena economica dapprima come fittavoli e operai al servizio dei latifondisti per divenire con gli anni proprietari loro stessi: essi, infatti, denotarono una marcata propensione al risparmio, reinvestito poi nell’acquisto dei tanti appezzamenti di terreno a disposizione. Ciò fino alla fine dell’Ottocento, quando il prezzo della terra iniziò ad aumentare.

La massiccia presenza straniera nell’Argentina di quegli anni non deve far pensare a una forma di sfruttamento e colonizzazione europea, quanto piuttosto di un positivo apporto di capitale umano e finanziario senza il quale sarebbe stato difficile mettere a frutto le potenzialità del paese. Gli argentini, dal canto loro, ebbero sempre il controllo della burocrazia pubblica e si dedicarono ad attività artigianali.

Dal punto di vista geografico, gli italiani si attestarono nelle regioni del Rio de la Plata, Santa Fe, Cordoba e in seguito a Buenos Aires, dove nel 1895 quasi un terzo della popolazione era italiana. Non si occupavano soltanto di agricoltura, ma erano dediti all’organizzazione di servizi  connessi: il commercio, soprattutto per via fluviale e marittima, vide ancora gli italiani in prima fila, a seguito della tradizione stabilita un secolo prima dai genovesi. Nel Rio de la Plata, ad esempio, gli italiani gestivano la navigazione a fini commerciali in una situazione quasi di monopolio. Quando poi si verificò il passaggio verso le attività industriali, fu naturale lo sbocco verso la produzione alimentare - soprattutto l’industria vitivinicola - e, in seguito, la lavorazione del ferro e del legno principalmente per la navigazione. Anche in questo caso la propensione al risparmio degli italiani costituì la base finanziaria su cui costruire il passo successivo verso il settore secondario, che pose in primo piano le attività dei self-made men italiani: tra gli altri i Devoto, i Casale, i Castellini, i Massone fino ad Antonio Rezzonico e Pedro Vasena (tipici nomi liguri).

Tra il 1876 e il 1908, tuttavia, tra tutti gli immigrati italiani, il 63% era ancora dedito all’agricoltura e l’11% al commercio.  Dal 1909 in poi la massiccia immigrazione spagnola fece decrescere l’importanza relativa di quella italiana, che andò ulteriormente diminuendo nel corso della seconda guerra mondiale, conobbe un nuovo impulso nell’immediato dopoguerra per poi attestarsi su dati scarsamente rilevanti negli anni del “miracolo economico” italiano.

Tuttavia, il flusso migratorio a cavallo tra il XIX e il XX secolo ha stabilito un forte legame sociale e culturale tra Argentina e Italia che non ha mai conosciuto flessioni. Alcuni studiosi hanno messo in risalto come la comunità italiana in Argentina alla fine dell’Ottocento non si organizzò mai in una lobby vera e propria che raggruppasse le società italiane a difesa dei propri interessi e come portavoce delle proprie esigenze. Al contrario furono molto attivi i giornali - L’Operaio Italiano e La Patria degli Italiani su tutti - come elemento di unione della comunità italiana. La Patria degli Italiani, edito fino al 1931, risultò essere il quotidiano di maggiore importanza pubblicato fuori d’Italia. Gli italiani in Argentina dimostrarono una grande capacità di assimilazione alla società latino-americana sia perché in possesso di una lingua e una cultura non lontana da quella del paese ospitante sia perché  erano un nucleo così numeroso da non rappresentare una minoranza. Ecco perché è da valutare se sia più opportuno parlare di italiani d’Argentina piuttosto che di italiani in Argentina.

 

Simonetta Michelotti