TRADURRE LETTERATURA:

UN PUNTO DI VISTA

 

 

Madeleine Strong Cincotta è Direttore del Dipartimento di Italianistica presso la University of Western Sydney.

 

Tradurre opere letterarie è convertire da una lingua all'altra testi d'arte: copioni, poesie, romanzi, insomma tutto ciò che non è prosa prosaica: manuali tecnici, scritti scientifici, documenti legali. E' chiaro che questa non è una definizione esauriente, e vi saranno sempre casi limite dove sarà difficile tirar linee di confine fra prosa d'arte e di altro tipo. Per la finalità di questo intervento, la definizione di cui sopra però, sarà forse sufficiente.

La traduzione di opere letterarie è un'attività che richiede dedizione e competenza. Una buona dose di umiltà poi non guasta, perchè certo non si può essere onniscienti. Di regola, anche i migliori fra di noi hanno bisogno di assistenza. Il più famoso traduttore dall'italiano all'inglese d'oggi, William Weaver, quello s'intende de Il nome della rosa e de Il pendolo di Foucault sottolineò durante una sua visita in Australia nel 1990 che anche lui aveva dei consulenti "pets", dei prediletti: un monaco che lo aiutò con il vocabolario ieratico e medioevale usato ne Il nome della rosa.

Uno dei problemi più difficili da sormontare, e anche più comuni, per il traduttore, è quello che deriva dall'"anomalia culturale", e cioè il caso in cui l'equivalenza lessicale non esiste nella lingua verso la quale si traduce, per la semplice ragione che il concetto stesso non esiste nell'altro contesto culturale. Oppure, se esiste una corrispondenza lessicale, questa ha nel corso del tempo assunto connotazioni culturali divergenti dal comune etimo. Un esempio del primo caso è la parola italiana "piazza". Non essendoci in inglese una vera corrispondenza, rimane "piazza" nelle traduzioni e si aggiunge, così, un tocco di esotico. Un esempio del secondo tipo è la parola francese "concierge" che in inglese non ha il significato di "portiere di condominio" ma soltanto quello di "portiere d'albergo". Più problematiche ancora sono parole come "back-yard" - e qui prendo spunto da un esempio fornito da William Weaver. In Australia o negli Stati Uniti quasi tutti, ricchi e poveri, una volta fuori del centro delle grandi città, hanno il proprio villino unifamiliare con dietro casa uno spiazzo verde, chiamato "back-yard". Certo, la parola si potrebbe tradurre in "jardin", "jardín", o "giardino", ma questo implica uno scatto di classe sociale, conferendo al proprietario del "back-yard", che magari è un poveraccio, caratteristiche da borghese grasso!

Di pari difficoltà si presentano quei testi in cui figura accanto all'uso della lingua standard, l'uso del dialetto. Ci sono molte lingue ufficiali che coesistono con varianti dialettali o in cui sono stati assorbiti degli idiotismi che lo scrittore utilizza di quando in quando sia per rendere più autentico un certo ambiente che per creare un contrasto fra personaggi e per dar risalto a provenienze diverse, a differenze linguistiche regionali o a diversità di ceto sociale. In quasi tutti i casi, l'uso di un dialetto o tracce di dialetto nel discorso di un personaggio non si possono duplicare in traduzione, proprio a causa della specificità isofonica e isolessicale.

Quasi analogo ma di più facile soluzione è l'uso di parole o di frasi in una terza lingua, in modo particolare quando questo diventa il mezzo utilizzato dallo scrittore per dare rilievo a un personaggio di provenienza straniera o per fare risultare un personaggio che sprazza il suo discorso di forestierismi, magari per mostrarsi disinvolto.

Una delle più ardue imprese nel tradurre ma anche forse delle più divertenti, è la traduzione di giochi di parole. Di regola, questi raramente coincidono nelle due lingue. Due esempi anche se non letterari si possono prendere da campagne pubblicitarie: "If it's not on, it's not on" e "You find the house and we'll come to the party." La prima tradotta letteralmente significa che "Se non ci sta, non ci sta"; lo slogan si riferisce a una campagna anti AIDS per raccomandare l'uso dei preservativi e andrebbe tradotto: "Se non ci sta, non ci stare!" Il secondo fa parte di una campagna pubblicitaria per una banca che cerca dei clienti per il mutuo casa e significa letteralmente, "Se voi trovate la casa, verremo noi alla festa." Ma fa gioco di parole sul fatto che nei paesi anglo-sassoni, quando si trasloca in una nuova casa, si dà una festa per brindare alla nuova abitazione e dal fatto che in inglese gergale, "venire alla festa" significa anche arrivare ad un accordo favorevole.

Pirandello in una delle sue Novelle per un Anno, offre una situazione in cui il padrone di casa cerca di persuadere un ospite riluttante a mangiare di più, nonostante le proteste di questo che egli è parco. Il padrone di casa risponde facendo un gioco di parole su "parco" e cioè, "e questo è porco, mangia!" Il problema chiaro per il traduttore è che in inglese la parola "pork" non ha affinità sonora con nessuna delle parole con cui si potrebbe tradurre "parco": "abstemious", "moderate", "temperate", "frugal". Sono di questi apparentemente insormontabili problemi che sono fatti gli incubi dei traduttori! Forse voi potreste suggerire una traduzione migliore. La mia fu questa: "I eat sparingly..." "Sparingly? Well that's spare ribs! Eat!"

Analogo al gioco di parole vi è il caso di ambiguità linguistica. Questo esempio può chiarire ciò che s'intende: in una poesia in prosa dal libro di Giovanni Finzi-Contini Atessa 1943, l'autore usa le parole "due cupi alfieri". Il termine "alfiere" può essere in inglese tradotto letteralmente come "standard-bearer" o "ensign". Figurativamente, però, è anche "pioniere" o "precursore". Questo è il significato letterale o "designazione" della parola nel contesto usato. L'apparizione di due soldati tedeschi chiamati "alfieri" è nella poesia la prima indicazione che la guerra aveva raggiunto Atessa. Ma vi sono altri significati della parola italiana. Storicamente "alfiere" si riferisce a un grado nell'esercito austriaco, così come a quel pezzo degli scacchi che si chiama in inglese "bishop". In italiano, Finzi-Contini usa l'aggettivo "cupo" per conferire un significato più sinistro. Ma naturalmente un "dark forerunner" diventa troppo simbolico ed incorporeo in inglese. "Standard-bearer" o "ensign" sono termini troppo positivi per il contesto e mancano di quell'alone storico addirittura medioevale che suggerisce la parola "alfiere". Il termine che io finalmente usai, con piena soddisfazione dell'autore, fu "black knight", cioè cavaliere nero". Così, mantiene un tono militare e piuttosto medioevale, la connessione con gli scacchi (in inglese "knight" è il "cavallo") e anche la connotazione sinistra. Il significato di "precursore" viene ripetuto in altri versi della poesia, così che lo si potè omettere, mentre il grado militare veniva del tutto perduto. "Traduttore traditore." Certo, ma per l'autore in questo caso il tradimento fu del tutto accettabile.

Un equilibrio dev'essere mantenuto fra la fedeltà al testo originale e il merito artistico o estetico dell'opera tradotta. Adattando un vecchio detto italiano che si riferisce alle mogli, "Il problema è che quelle fedeli non sono belle e quelle belle non sono fedeli." Il compito del traduttore di opere letterarie è di scrivere testi che sono ad un tempo fedeli e belli.

 

Madeleine Strong Cincotta