BILINGUISMO E
ITALIANO D'AUSTRALIA
Maria Teresa Piccioli è Lecturer presso la Catholic University of Sydney.
L'interesse per i problemi del bilinguismo è necessariamente collegato al discorso dei flussi migratori che in questo caso riguardano l'Australia. Col termine di bilinguismo si intende descrivere la capacità di un parlante di servirsi di due codici linguistici differenziati. Secondo l'osservazione di Hymes (1967) però il bilinguismo non presenta di per sé stesso una base adeguata per una teoria dell'interazione tra linguaggio e situazione sociale, perché non è né un fenomeno unitario né autonomo. Il bilinguismo è in primo luogo un fenomeno di carattere individuale che spesso sfugge a concetti prestabiliti, molto più complesso di quanto possa apparire a prima vista.
Bloomfield, nel lontano 1923, fu il primo ad offrire una sua interpretazione a questa caratteristica comune a molti parlanti sparsi per il mondo. Da allora la sua interpretazione si è ampliata offrendo maggiore elasticità di interpretazione perché ci si è resi conto che è difficile stabilire: il momento in cui un parlante si può considerare bilingue; il grado e la situazione, cioè l'insieme di fattori ambientali in cui si manifesta.
Per tentare di illustrare con maggiore chiarezza la definizione di bilinguismo si possono elencare tre tipi di classificazioni.
La prima riguarda il bilinguismo definito in termini qualitativo/quantitativo; la seconda offre le opzioni cronologico/non-cronologico, e cioè se le lingue sono state apprese in modo simultaneo o a stadi successivi, affiancata da un'ulteriore considerazione del bilingue equilibrato/non equilibrato. La terza suddivisione bilinguismo indotto a livello istituzionale/spontaneo è stata effettuata in base al criterio se la lingua è stata appresa a scuola o in maniera spontanea. Vanno inoltre aggiunte le definizioni di Fishman del bilinguismo sociale/bilinguismo individuale e quelle di Pohl del bilinguismo orizzontale, verticale e diagonale.
Classificazioni del Bilinguismo
• Qualitativo. Per Malharbe (1969) il criterio per definire il bilinguismo è quello di stabilire a priori lo scopo e la funzione dell'uso della lingua da parte del parlante considerata quindi in termini di esigenze sociali e professionali.
Ervin & Osgood (1954) distinguono i bilingui in due categorie: coordinati o compositi, attivi e passivi. Il bilingue composito secondo gli autori attribuisce un significato simile alle parole corrispondenti nelle due lingue. Da un punto di vista linguistico è come se le due lingue si fossero fuse ed avessero in comune lo stesso sistema o per lo meno un sistema molto simile. Il bilingue coordinato, sempre secondo i due studiosi, attribuirebbe un significato diverso alle parole che corrispondono nelle due lingue ed avrebbe di conseguenza due segni per lo stesso referente. Diller nel 1970 confuterà questa ipotesi.
Mackey (1962) descrive il bilinguisino in termini di alternanza e di interferenza. Dal suo punto di vista il bilinguismo va misurato anche in termini di grado e di funzioni. Lambert (1977) descrive il bilinguismo in termini di agevolato/non agevolato. Un bilingue di tipo "non agevolato" si trova in un ambiente in cui la L2 viene appresa a scapito della lingua 1. Il bilingue "agevolato" al contrario è in grado di comunicare in due o più lingue prestigiose, a suo vantaggio.
La definizione offerta da Halliday (1975) è forse la più flessibile e generica e viene presentata come l'uso funzionale di una seconda lingua per quanto imperfetto e parziale esso sia.
• Quantitativo. E' stata adottata dalla Taeschner (1978) nel suo studio sull'interferenza lessicale nel linguaggio di una bambina bilingue (italiano-tedesco) ed in seguito nel testo "Il sole è femminile" del 1983 ed inoltre da George Saunders, un ricercatore australiano, nel 1982 (inglese-tedesco). Nelle loro analisi sullo sviluppo simultaneo di due lingue in età prescolare, tutti e due i ricercatori trascrivono, contano e paragonano il numero di espressioni equivalenti via via che appaiono sia in una lingua che nell'altra. La Taeschner nella sua ricerca presenta una serie di liste di lessemi appresi nelle due lingue, a scopo di fare in seguito un'analisi contrastiva.
A mio avviso, dato che l'uso del linguaggio soprattutto in soggetti in età prescolare è unicamente di tipo dialogico, è più significativo valutare se l'apprendente è in grado di utilizzare lo "speech exchange system" così definito da Halliday piuttosto che elencare le forme equivalenti presenti nel linguaggio e descrivere come si sviluppano.
• Cronologico/non cronologico. Nelle distinzioni suggerite da Titone (1972) ne figurano 3:
a) infantile - l'acquisizione di due o più lingue prima di aver raggiunto l'età di 10-11 anni (Aldler più tardi nel 1992 lo definirà "achieved bilinguism"); b) consecutivo - quando la L2 è appresa cronologicamente dopo la prima; c) simultaneo - quando la L1 viene appresa simultaneamente alla L2.
Si dovrebbe forse riorganizzare le suddette categorie. Chi apprende simultaneamente due lingue con la stessa intensità è più probabile che sia un ragazzo/a al di sotto dei 10-11 anni. Un adolescente o un adulto con la L1 (lingua madre) ben stabilita è difficile che possa apprendere una seconda lingua con lo stesso grado di intensità e frequenza della prima.
• Di tipo istituzionale/spontaneo. Suggerirei l'aggiunta di due altre categorie e variabili: bilinguismo indotto a livello istituzionale e bilinguismo appreso in maniera spontanea. Nella prima categoria inserirei tutti coloro che apprendono la L2 a scuola, sia a livello elementare che secondario, dopo che si è stabilizzato l'uso della L1. Nella seconda categoria collocherei invece tutti coloro che hanno appreso la L2 all'interno di una comunità per via dell'immigrazione o per aver vissuto temporaneamente in un paese straniero.
• Sociale/individuale. Il bilinguismo può anche essere inteso come bilinguismo individuale e bilinguismo sociale, quest'ultimo riferito al fatto che una pluralità di individui utilizza due lingue come lingue di gruppo in un territorio geografico e sociale determinato.
• Orizzontale/verticale/diagonale. Il bilinguismo orizzontale esisterebbe secondo Pohl quando due lingue distinte hanno uno status ufficiale e culturale, come i catalani che parlano sia il catalano che lo spagnolo. Il bilinguismo verticale si manifesta quando una lingua standard coesiste con un dialetto simile per esempio il balinese e l'indonesiano. Nel bilinguismo diagonale il parlante usa il dialetto o una forma non standard che coesiste con una lingua del tutto diversa. Pohl cita l'esempio del francese della Louisiana e l'inglese americano. Simile potrebbe anche essere la situazione dell'immigrante italiano per il quale il dialetto o una varietà dell'italiano popolare coesistono con l'inglese.
La posizione del bilingue nella società odierna
La maggioranza delle società sono, in maniera maggiore o minore, bilingui. In alcuni casi il bilinguismo è riconosciuto a pieni diritti, quindi a livello ufficiale (ad esempio in Svizzera, in Belgio). In altri paesi come l'Australia, anche se non riconosciute ufficialmente, sono presenti diverse etnie oltre alle popolazioni indigene che tuttora parlano la loro lingua d'origine anche se l'inglese è l'unica lingua ufficiale. Oggi nel New South Wales sono presenti oltre 100 lingue, introdotte principalmente con la grande immigrazione degli anni 50 e 60.
Secondo un sondaggio effettuato dal National Languages and Literacy Institute pubblicata nel 1994 il gruppo più numeroso di parlanti non anglofoni rimane tuttora quello italiano, anche se per la seconda e terza generazione la percentuale cala ed aumentano prestiti ed interferenze.
Le comunità degli immigrati italiani
In genere la varietà più alta utilizzata dagli immigrati è quella che Berruto (1987) definisce l'italiano popolare. L'italiano standard, in molti casi, è praticamente assente nella realtà dell'immigrazione e la socializzazione primaria avviene nel dialetto utilizzato in casa. La maggior parte degli emigrati ha portato con sé un suo dialetto regionale al quale si è aggiunto in un secondo tempo l'inglese (appreso spesso oralmente e in maniera informale), con le sue varianti.
Spesso ne risulta una marcata interferenza per quanto riguarda l'italiano soprattutto per i contenuti e per il lessico non conosciuto, per esempio quando manca il termine adeguato per esprimere realtà nuove (l'uso del termine insuransa per indicare assicurazione). Interessante è anche l'intercalare o inserimento di parole inglesi pronunciate all'italiana, ad esempio dats all right ah yea anyway you know sorry, che sono molto comuni nell'italo-australiano. La lingua madre viene a trovarsi di conseguenza in una posizione di codice subalterno. Il dialetto gode di scarso prestigio e si indebolisce.
Secondo Bettoni (1985) ci sarebbe poca uniformità nel modo in cui questi elementi vengono selezionati ed integrati in italiano nel senso che non si è tuttora formata una norma stabile sufficientemente forte per imporre i prestiti più comuni. Infatti ciò che viene definito come italo-australiano o australitaliano non è altro che un modo di parlare molto fluido che varia a seconda delle esigenze. Di parere contrario è Franko Leoni, docente all'Università di New England in Australia, che ha recentemente compilato un vocabolario dell'italo-australiano assurto a suo avviso a codice a sé stante.
Che molte espressioni siano state accettate quasi universalmente dalle comunità italo-australiane, ad esempio farma, singletta, smasciato è indubbio ma ciò non vuole necessariamente dire, a mio avviso, che si sia venuto a sviluppare un nuovo linguaggio universale degli immigranti italiani in Australia.
La seconda generazione per lo più ha avuto contatto unicamente con il dialetto e a volte con l'italiano se i due genitori sono di provenienza diversa. Gli italo australiani sono comunque di norma monolingui nel dialetto e bilingui nel dialetto + italiano finché non vanno a scuola dove sono catapultati in una realtà monolingue anglofona.
La lingua che questa seconda generazione eredita, salvo alcuni rari casi, è caratterizzata da interferenze e spesso viene ulteriormente mescolata dai figli che ignorano i registri più formali e tecnici da usare con gli adulti (con i quali invece erano a contatto anche se sporadico i genitori). Spesso ad esempio non sanno dare del Lei (come riferisce Bettoni).
A differenza dei genitori i prestiti lessicali vengono lasciati in inglese e frasi, espressioni e parole vengono pronunciate con una forte intonazione inglese. Aumenta soprattutto l'interferenza multipla con interi pezzi in inglese che si alternano a quelli italiani. La qualità e la quantità d'interferenza variano da individuo a individuo.
L'ordinamento scolastico nel New South Wales
Il sistema scolastico del New South Wales è caratterizzato da:
- grande autonomia delle singole scuole;
- forte presenza delle scuole private, soprattutto quelle religiose;
- marcata suddivisione fra le scuole pubbliche e quelle d'élite.
I presidi della scuola godono di un grande potere decisionale; spetta a loro ad esempio la scelta delle materie da inserire nel curriculum. L'intervento ministeriale sia a livello statale che a quello federale si esercita soprattutto a livello di decreti. Ora, ad esempio, tende ad incentivare lo studio delle lingue asiatiche, in modo particolare il giapponese.
Profilo dell'insegnamento della lingua italiana
Il grande impulso alla diffusione dell'italiano (Mansueto 1996) ha avuto luogo con l'avvento della politica multiculturale degli anni '70, unita alla pressione esercitata dalle comunità immigrate con il risultato che l'italiano è stato introdotto in diverse scuole anche nel settore elementare dove si registrava una certa carenza. Gli anni '80 hanno visto una ulteriore espansione dell'italiano, tale da farlo diventare, per il numero degli iscritti, la lingua più studiata in Australia.
Attualmente l'italiano è la lingua più studiata nelle elementari, circa 41.000 studenti nello stato del New South Wales, mentre non lo è più a livello medie/superiori con un calo che porta il numero totale a 10.000 iscritti. A livello universitario il numero diminuisce ulteriormente a 2.600 circa. La sproporzione è evidente tra i tre settori e l'insufficiente garanzia di continuità nello studio della lingua è uno dei maggiori problemi da affrontare nel prossimo futuro.
Interventi del Governo Italo-Australiano
L'Italia si è impegnata a predisporre fondi per organizzare classi di lingua per i figli degli emigrati all'estero, ma ciò spesso avviene in maniera disorganica: ad esempio le classi del sabato mattina con insegnanti non sempre specializzati, classi numerose con bambini di ogni età, spesso insieme nella stessa classe.
Uno dei maggiori problemi è comunque la mancanza di progressione dalle elementari alle superiori dovuta al fatto che pochi licei offrono l'italiano.
Per quanto riguarda i mass media la situazione è marginalmente migliorata rispetto ai tempi della ricerca della Bettoni, ad esempio a Sydney ora esiste un centro risorse/materiale didattico inaugurato con l'assistenza del Ministero degli Affari Esteri. Questo centro servirà principalmente agli insegnanti delle elementari e medie.
Sono sorte inoltre emittenti radio che trasmettono in lingua italiana 24 ore su 24 anche con programmi provenienti direttamente dall'Italia. Per quanto riguarda la tv nei prossimi mesi sarà presente anche RAI International. E' stato introdotto un nuovo programma radio per i giovani italo-australiani. Si è realizzata una Home Page con notizie e novità che riguardano la comunità italiana locale.
Da parte australiana c'è ormai un riconoscimento pieno del diritto di ogni gruppo etnico al mantenimento della propria lingua e si è delineata già dagli anni '70 una forma di politica multiculturale. L'ultimo documento legislativo, a livello federale, "Australia's Language and Literacy" del 1991, pur riconoscendo l'importanza delle lingue seconde, rimane per lo più una dichiarazione di intenti. Nel New South Wales, comunque, una recente legge statale ha introdotto lo studio obbligatorio di una lingua straniera per un ammontare di 100 ore complessive dal settimo al decimo anno (nel primo ciclo della scuola secondaria). Questa fase è previsto che verrà estesa fino a 200 ore entro il duemila. Con la stessa normativa sono state dichiarate prioritarie 12 lingue tra le quali figura anche l'italiano. Va comunque evidenziato il fatto che mentre il multiculturalismo precedente promuoveva le lingue comunitarie incluse quelle delle minoranze, oggi l'Australia promuove invece le lingue cosiddette "commerciali" a favore, in modo particolare, delle lingue orientali.
Si è comunque finalmente diffusa l'idea che il bilinguismo possa essere vantaggioso per la nazione.
Maria Teresa Piccioli