Il progetto

Leonardo Eco.Form

 

 

Maria Catricalà è Ricercatrice di Linguistica Italiana presso l’Università per Stranieri di Siena e coordinatrice del gruppo di lavoro Eco.Form.

 

Provate a coniugare ecologia, europa e design al tempo futuro, quello dell’ormai prossimo venturo terzo millennio. Immaginate, quindi, lunghe strade di modelli e di filati che, dall’Accademia Italiana d’Arte, Moda & Design di Firenze, giungano fino al Deutscher Werkbund e all’Umwelt Bundes Amt di Berlino, passando magari per l’Associazione Industriali di Siena e all’interno di note ditte, come la Mare e la Re.Co.Plast, o attraversando diversi centri di studio, come l’ International Business School e il Dipartimento della nostra Università. Il risultato non potrà che essere il presente di ECO.FORM, il progetto che è stato finanziato dalla Comunità (nell’ambito del piano di investimento “Leonardo”) con lo specifico obiettivo di attivare un curriculum formativo d’ottima qualità e del tutto nuovo, quello dell’ecodesigner.

Questa professione è così nuova che sarà inutile cercarne una definizione anche solo generica nei più recenti dizionari d’uso, quanto in un repertorio altamente specializzato come quello intitolato Nuovi mestieri. Nuove Professioni e pubblicato da Domenico Proietti appena otto anni fa. Del termine ecodesigner non c’è traccia né tra ecologo ed ecodeputato, perito ambientale e consigliere ecologico, da un lato, né dall’altro fra i più svariati tipi di designer o disegnatore (disegnatore lay-out officina, disegnatore allestimenti estetici, disegnatore anatomico, disegnatore del campionario o di stoffe, disegnatore di cartoni animati, disegnatore di moda o stilista, disegnatore pubblicitario, disegnatore schemista elettronico, disegnatore titolista, ecc.).

Certo, considerando la trasparenza semantica degli elementi combinati nel nostro neologismo, è facile intuire quali possano essere le mansioni della nuova figura professionale cui si riferisce. Considerando, infatti, la grave crisi che tante delle tradizionali modalità di produzione industriale stanno attraversando proprio per l’impatto ambientale che provocano, sono evidenti soprattutto i motivi per cui,  sia nella grande, sia nella piccola azienda, si sia sentita l’esigenza di porre maggiore attenzione ai problemi ecologici. Ne è derivata l’idea che lo stesso disegnatore industriale, in primis, debba prendere atto di tali problematiche e cominciare a pensare, già in fase progettuale, secondo criteri del tutto diversi rispetto al passato e del tutto pioneristici rispetto a quello che sarà la vita comunitaria europea e ai vincoli cui ci obbliga. L’ecodesigner, quindi, non conosce soltanto tutte le nuove normative riguardanti il rispetto dell’ambiente e sa come renderle esecutive, ma fa anche ricerca applicata e può finalizzarla, per esempio, al riciclaggio, che rappresenta un altro grande filone di studi per la sopravvivenza della nostra specie.

Detto questo, si può comprendere perché sul piano tecnico, in concreto, all’ecodesigner siano richieste competenze molto specifiche e appare altrettanto chiaro quanto sia necessario formarlo in maniera adeguata ai molteplici bisogni di una società come la nostra in cui, per esempio: si ha un consumo pro capite di 21 kg di vestiario all’anno; il materiale impiegato per 5 delle bottiglie di plastica che gettiamo quotidianamente nella spazzatura potrebbe servire a fare un maglione; il 25% dei fitofarmaci e delle altre sostanze dannose messe in circolazione sono utilizzate nelle piantagioni di cotone.     L’individuazione di prodotti verdi e la ricerca di tecnologie pulite a tutela dell’ambiente e dei consumatori e in favore dell’utilizzo di materiali naturali sono diventate le nuove scommesse del mondo occidentale, ma anche le nuove parole chiave per lo sviluppo di strategie industriali realmente competitive a livello mondiale.

E’ ovvio, quindi, che per essere pronti a inventare textures granulose, finiture mat, colori soft e nuove sostanze come il neolite (‘nuova pietra’=‘nuovo materiale’), ottenuto mediante il riciclo di polimeri di scarto bisogna avere un’ottima preparazione in vari settori come la chimica e la biologia. E’ certo, tuttavia, che la competenza linguistica anche in questo caso non può essere trascurata e i promotori del progetto Eco.Form e gli altri partecipanti hanno avuto il merito di comprenderlo e di dare il giusto peso a questo tipo di problematica.

Per l’ecodesigner, infatti, è importante, innanzitutto, conoscere il livello di comprensibilità della terminologia tecnica e la sua traducibilità al di là dei confini europei. Di qui ha preso l’avvio uno dei principali lavori che ci sono stati affidati, e cioè quello di tradurre un primo glossario di ecodesign. La traduzione è stata curata da Pierpaolo Cannistraci, che nella sua qualità di architetto ha potuto assolvere al compito con grande competenza tecnica, e in qualità di nostro docente ha posto una particolare attenzione alla scelta di prefissi e suffissi, così pure alla ricerca di felici soluzioni per forme inglesi troppo spesso immotivatamente conservate nei nostri usi e soprattutto sulle pagine dei giornali. Il che è inconcepibile soprattutto per quei settori, come appunto la moda, in cui compaiono moltissime aziende italiane tra quelle di maggior prestigio e creatività.

L’altro lavoro già terminato presso il nostro Dipartimento è la definizione di un programma di formazione linguistica mirato per un corso di ecodesign. Nel compilare il programma, Antonella Benucci, Pierangela Diadori ed io, abbiamo tenuto conto della questione dei percorsi formativi dello “studente europeo”, che potranno delinearsi solo tramite nuove osmosi fra saperi e linguaggi differenti, e non con facili tentativi d’adeguamento ad un singolo modello e di reductio ad unum. E’ noto che la preservazione del diritto al pluringuismo, alla biodiversità (/glottodiversità) e alla difesa delle diversità culturali e di molteplici identità storico-sociali, si inserisce oggi nell’ambito di una serie di problematiche del tutto nuove come appunto quella ecologica che richiede la formazione di una nuova coscienza/scienza.

La parola, veicolo primo dei processi del significare e della elaborazione delle nostre idee, delle invenzioni e delle scoperte scientifiche mirate al raggiungimento della qualità totale, non può che essere un punto di partenza forte di un qualunque progetto di palingenesi volto in questa direzione. In tutte le sue forme e i suoi luoghi, sia essa altamente tecnica e oscura ai più, sia essa trasparente e chiara, sia essa scolpita e ingessata all’ interno di testi ufficiali o burocratici, oppure trapuntata all’interno del nostro quotidiano tessere fili di discorso, la parola rappresenta, infatti, anche il principale punto di partenza d’ogni strategia cognitiva, comunicativa e didattica.

Il curriculum sarà diviso in due cicli fondamentali: nel primo, si approfondirà lo studio in/per la lingua italiana; nel secondo, quello di una L2 (che potrà essere anche l’italiano stesso, in caso di studenti stranieri).

Il primo ciclo è strutturato in cinque moduli fondamentali, ciascuno dei quali pur avendo una finalità specifica propria, è mirato al raggiungimento del principale obiettivo generale e complessivo (ma non generico) dell’intero corso, che è quello di in/formare e preparare gli studenti ad affrontare in maniera adeguata i bisogni comunicativi delle nostre società europeee complesse. Per quanto riguarda la lingua italiana, ciascun modulo, infatti, terrà conto della necessità primaria di affinare le quattro abilità linguistiche fondamentali, sia di ricezione (ascoltare/leggere), sia di produzione (parlare/scrivere) dei corsisti, e di potenziare le loro capacità di utilizzo delle modalità trasmesse e delle nuove tecnologie.

In ciascuno dei cinque moduli previsti si spazierà da questioni generali, come le caratteristiche morfo-sintattiche, lessicali e testuali dei linguaggi tecnici, i circuiti comunicativi o il rapporto parola-immagine, a problemi specifici, come quelli riguardanti una serie di esperienze concrete e applicative dei criteri della semiologia e della massmediologia nello sviluppo di strategie comunicative mirate alla promozione dei materiali ecocompatibili.

Potranno, inoltre, svilupparsi varie forme di collaborazione e, in particolare, si potranno prevedere seminari brevi e stages aziendali e non solo presso le case produttrici del settore, ma anche, per esempio, presso le sedi lessicografiche, oppure presso le riviste e le redazioni di alcune trasmissioni televisive specializzate, o ancora presso gli studi di promozione pubblicitaria, le associazioni di categoria, quelle ecologiste ed i centri di ricerca privati e del CNR. Ovviamente anche per questo tipo di collaborazioni, che non dovranno essere obbligatoriamente ristrette entro i confini nazionali, la struttura stessa dell’ Università per Stranieri di Siena e la fitta rete di rapporti internazionali che la caratterizzano potranno risultare particolarmente utili. In tal senso, infatti, potranno essere preziosi non solo i suoi contatti con gli Istituti di cultura italiana all’estero e con altri centri universitari europei, ma anche, per esempio, il collegamento con l’Associazione Siena per gli Italianisti e la diffusione di questa stessa rivista.

 

Maria Catricalà