INSEGNANDO

L’ITALIANO

AGLI STRANIERI…

 

 

Ricordo che nel suo intervento del 1989 all’Università di Pavia, in occasione della Giornata di studi del Centro interfacoltà di ricerca sulla didattica delle lingue straniere moderne, Tullio De Mauro annunciava che ormai anche la lingua italiana si era dotata, come altre lingue europee, di buoni strumenti per la descrizione dei suoi vari aspetti, premessa per la costruzione rigorosa di una didattica dell’italiano come L2 e LS: in particolare di tre buone grammatiche, quelle di Renzi, Schwarze e Serianni.

Si era allora nel pieno del dibattito sui contenuti e sui metodi di una didattica dell’italiano rivolta a parlanti non nativi. Ci trovavamo di fronte a richieste molteplici e differenziate di apprendimento ma gli strumenti erano scarsi: pochi i manuali, esigui i materiali multimediali e per lo più impostati su base audio-orale. Per spiegare la complessità e la ricchezza della nostra lingua e per far comprendere agli studenti molte “regole”, che sotto la ventata innovativa dell’approccio comunicativo avevamo introdotto in classe, molti di noi ricorrevano alle esperienze personali, non di rado rifacendo in senso inverso il percorso contrastivo che si erano costruiti per imparare le lingue straniere.

A Pavia si parlava di un curricolo di italiano, di programmazione, di certificazione, iniziavamo a confrontarci con l’utenza dei programmi Erasmus: ci rendevamo conto che dal convegno della SLI del 1982 era passata molta acqua sotto i ponti e che nel futuro sarebbe scorsa sempre più abbondante e tumultuosa, forse anche straripando per mancanza di solidi argini.

Da allora, e sono passati pochi anni, neppure dieci, il percorso di chi insegna l’italiano come LS e/o L2 è stato reso più agevole da tanti strumenti, da ricerche provenienti da varie discipline. Il primo patrimonio di esperienze si è concretizzato in riflessioni e sistemazioni teoriche e ha prodotto opere che si sono aggiunte a quelle prime, utilissime, grammatiche descrittive dell’italiano di cui parlava De Mauro, concepite, però, con altri scopi. Un esempio di tale arricchimento si trova anche tra le pagine di questo numero di S.I.&N.A: si indaga capillarmente sulle motivazioni di studio; le grammatiche scolastiche contengono riferimenti storici, linguistici e pragmatici; i dizionari sono più attenti al problema dei registri; si è diffusa la sensibilità verso la componente culturale nei corsi di lingua; ci si occupa dell’integrazione e della formazione linguistica degli immigrati extracomunitari.

Conseguenza dell’aver messo a fuoco particolari gruppi di utenti dei corsi di lingua è stata la coscienza che l’italiano come lingua seconda, in Italia, e come lingua straniera, all’estero, non può seguire gli stessi percorsi didattici e deve avvalersi di materiali specifici. La progettazione di itinerari di studio differenziati per livelli e per caratteristiche però, a mio avviso, pur avendo superato il vuoto di conoscenze in cui si operava nei decenni passati, presenta ancora lacune nei confronti della sensibilizzazione verso gli aspetti sociali della lingua. Resiste, e convive insieme a una diffusa conoscenza dei traguardi della glottodidattica, una scarsa sensibilità verso il fatto che insegnare una lingua straniera e seconda significa occuparsi sia di competence sia di performance, in altre parole della competenza sulla lingua e del sapere agire con la lingua per raggiungere determinati obiettivi. Non è ancora stato superato del tutto il pregiudizio che la distanza tra parlato e scritto riguardi solo marginalmente l’italiano e che della variazione sociale debbano occuparsi soltanto i sociolinguisti e, in parte, gli studenti italofoni. Non è diffusa l’opinione che la didattica possa essere diversa in base alle abilità che deve sviluppare e agli specifici obiettivi, non soltanto accademici, che persegue e che debba di conseguenza proporre diversi modelli di italiano.

Affrontato dall’ottica del processo dialettico tra norma e uso, tra condizione ideale (e idealizzata) e situazione reale, lo studio dell’italiano come lingua straniera, lingua seconda e lingua etnica è allora lo studio, da una parte, della selezione dell’italiano in contrapposizione al suo sistema e, dall’altra, dei fattori sociali che accompagnano tale selezione, ma anche dell’azione reciproca che lingua e fattori sociali esercitano l’uno sull’altro. L’analisi dei fattori esterni, sociolinguistici, nei processi di acquisizione dell’italiano potrebbe fornire in futuro anche le premesse per un modello epistemologico innovativo, e urgente, che ancora manca per definire la formazione del professore di italiano LS e L2.

 

Antonella Benucci

Presidente dell’Associazione

“Siena per gli italianisti”