Gli indicatori

di registro

nei dizionari

 

 

Maurizio Trifone è Ricercatore di Linguistica Italiana presso l’Università per Stranieri di Siena.

 

Un aspetto importante della definizione lessicografica è nella delimitazione “ambientale” e “affettiva” delle parole. Consideriamo ad esempio la coppia di vocaboli gatto e micio. Tra queste due voci c’è anzitutto una differenza “ambientale”: gatto è una parola “neutra” che si può usare in tutti i contesti, mentre micio sipuò adoperare soltanto nel linguaggio familiare. Inoltre i due vocaboli implicano un diverso atteggiamento “affettivo” del parlante: gatto è una parola non connotata, priva di una carica affettiva; micio, al contrario, rivela la disposizione emotiva e il sentimento del parlante, che considera il gatto sotto una luce favorevole.

Per esprimere queste differenze “ambientali” e “affettive” la lessicografia si serve di una serie di marche o etichette come familiare, popolare, volgare, letterario, poetico, gergale, regionale, dialettale, ironico, scherzoso, antico, arcaico, antiquato, ecc. Tali notazioni, però, hanno un carattere di genericità e di limitatezza dovuto alla loro concisione e soprattutto al fatto che i dizionari non si preoccupano di precisare chiaramente né nella prefazione né sotto le voci omonime quali aree ciascuna di esse ricopre e con quali criteri è stata applicata, lasciando così all’intuizione del lettore il difficile compito di risolvere l’enigma. Sarebbe bene, invece, delimitare esplicitamente il valore effettivo delle etichette, puntualizzando ad esempio che per «voce antiquata» si intende una parola non più documentata o scarsamente documentata a partire da un certo anno oppure che per «voce letteraria» si intende una parola dotta in senso lato o una parola presente soltanto nella poesia e nella prosa d’arte o una parola usata nella lingua scritta di livello alto.

Inoltre sarebbe necessaria una doppia etichettatura, una per lo scritto e una per il parlato, a causa delle differenze di registro che caratterizzano l’asse diamesico della lingua: per es., una costruzione non marcata nello scritto come  «benché + congiuntivo» (benché sia ricco, vive poveramente) risulta forbita nel parlato, dove la contrapposizione concessiva verrebbe trasformata in una più semplice coordinazione avversativa (vive poveramente, ma è ricco); una costruzione letteraria nello scritto come  «per + aggettivo + che + congiuntivo» (per gentile che sia, non mi ispira fiducia) rischia di cadere nel ridicolo se viene trasferita nel parlato.

Il pericolo che si corre nell’attribuzione delle etichette è che esse non rispecchino l’uso della comunità linguistica, ma riflettano piuttosto le opinioni dei lessicografi. Infatti le differenze di registro, pur essendo più o meno sentite da tutti i parlanti, sono soggette a oscillazioni individuali: un’espressione che a una persona sembra di tono familiare a un’altra può apparire volgare. Un rapido sondaggio all’interno di vari dizionari, limitato a un’unica voce (il lemma bidone nel significato di ‘imbroglio, truffa’ e in quello di ‘apparecchiatura, macchina che non funziona o che funziona male’), sarà sufficiente a dimostrare l’alto grado di soggettività nell’attribu­zione delle etichette da parte dei lessicografi. Il Devoto-Oli (1990) marca entrambi i significati con «gergale», il Garzanti (1993) con «familiare», il DISC (1997) e lo Zingarelli (1998) con «popolare». Il Nuovissimo Dardano (1982) e il Vocabolario dell’Istituto della Enciclopedia Italiana curato da Aldo Duro (1986-1994) concordano nel considerare «gergale» il significato di ‘imbroglio, truffa’, ma dissentono sull’eti­chettatura dell’altro significato: per Dardano si tratta di un uso «figurato spregiativo», per Duro di un uso «regionale». Il Palazzi-Folena (1992) marca il primo significato con «popolare» e indica semplicemente come «figurato» il secondo. Il DIR (1988) si limita a connotare come «figurato» il significato di ‘inganno’ e addirittura non assegna alcuna etichetta all’altro significato.

Se è inevitabile un certo margine di soggettività nell’indicazione del livello a cui appartiene il lemma, è anche vero che l’analisi di un vasto corpus di dati linguistici e il confronto tra campioni di lingua rappresentativi di diverse varietà potrebbero consentire al lessicografo di assegnare le etichette in modo quantomeno non arbitrario.

Le etichette sono la parte della voce lessicografica che forse più velocemente va incontro a un precoce invecchiamento; l’uso linguistico, infatti, cambia con grande rapidità in concomitanza con i mutamenti socioculturali degli utenti: ciò che ieri appariva offensivo per il cosiddetto “comune senso del pudore”, oggi può essere accettato da tutti come assolutamente normale. Sarebbe interessante analizzare l’evoluzione del costume della nostra società attraverso l’esame sistematico delle variazioni che le etichette dei dizionari hanno subìto nel tempo. Comunque, anche limitando l’indagine a qualche lemma, è possibile ricavare alcune significative considerazioni. Prendiamo come campioni due dizionari realizzati da una stessa casa editrice e quindi contraddistinti da una medesima linea editoriale: il Garzanti 1965 e il Garzanti 1993. In Garzanti 1965 casino (nei sign. di ‘postribolo’ e ‘confusione’), culo, cesso, fregare (nel sign. di ‘ingannare, truffare’), fregola (nel sign. di ‘voglia, smania’) sono etichettati come «volgari», in Garzanti 1993 come «popolari». In Garzanti 1965 sbornia (nel sign. di ‘ubriacatura’) è «popolare» e lagna «familiare», in Garzanti 1993 entrambi sono non marcati. In Garzanti 1965 scassare ‘rompere, guastare’ è «familiare» nell’uso transitivo e «popolare» in quello intransitivo pronominale, in Garzanti 1993 è «familiare» in tutti e due gli usi.

Questi pochi e desultori dati non autorizzano ovviamente a trarre conclusioni definitive e generali, ma sembrano pur sempre avvalorare una tesi di fondo: i dizionari più recenti mostrano la tendenza a derubricare le etichette da volgare a popolare, da popolare a familiare, da familiare a non marcato, secondo un processo che pare riflettere alcuni tratti distintivi della società attuale rispetto a quella del passato, e cioè la caduta di molti tabù sessuali, una maggiore tolleranza e in generale una più estesa libertà di comportamento.

 

Maurizio Trifone