I bisogni linguistici

delle nuove

generazioni

Convegno GISCEL

(Roma, 26-28 marzo 1998)

 

 

Andrea Villarini è Dottore di ricerca in linguistica, si occupa di educazione linguistica e di formazione di insegnanti di italiano come lingua straniera.

 

Riflettere sui bisogni, linguistici e non, delle nuove generazioni è indubbiamente un compito primario per l’istituzione scolastica. Anche perché siamo di fronte ad una serie di trasformazioni che sempre di più e sempre più in profondità si correlano all’attività didattica modificandone contenuti mezzi ed obiettivi.

La prima di queste trasformazioni è legata agli strumenti di cui si avvale la pratica didattica, con il passaggio dall’uso esclusivo del libro di testo a un uso sempre più diffuso di tecnologie diverse che si vanno ad affiancare (e in alcuni casi anche a sostituire) al più tradizionale supporto cartaceo. Con l’irrompere nella didattica di computer, sistemi ipertestuali e navigazioni in Internet, infatti, la figura dell’insegnante esige una ridefinizione delle caratteristiche professionali che gli consenta di rimanere al passo coi tempi.

Una seconda trasformazione è legata, invece, al tipo di pubblico che riempie le aule scolastiche. È in aumento, infatti, il numero di allievi di nazionalità non italiana. Questo nuovo multilinguismo scolastico si lega al tradizionale fenomeno del multilinguismo dovuto alla presenza di allievi che parlano dialetti molto differenti dall’italiano.

Infine, bisogna considerare un altro evento legato questa volta alla sfera politico-istituzionale, ovverosia le imminenti modifiche volute dall’attuale Ministro dell’Istruzione (note come riforma Berlinguer) che, seppur rivolte principalmente al ciclo di scuola superiore, non mancheranno di far sentire i loro effetti su tutti i cicli scolastici.

A questi tre grandi mutamenti interni all’istituzione scolastica si deve aggiungere un fatto che, sebbene legato alla ricerca sociolinguistica, entra in gioco in quanto condiziona le riflessioni nel campo della didattica. Ora, infatti, è possibile fare delle previsioni sulle effettive competenze comunicative dei giovani e, conseguentemente, stabilire quali possono essere le loro esigenze comunicative, a partire non solo da congetture, ma da dati effettivi raccolti da ricerche ‘sul campo’. Questi dati fotografano una situazione contraddittoria e per questo ricca di spunti interpretativi. Sullo sfondo abbiamo una rivoluzione epocale negli usi linguistici; per la prima volta, infatti, le giovani generazioni parlano un italiano vicino allo standard (anche se rimangono delle influenze dialettali). A quest’uso dell’italiano standard scritto e parlato non corrisponde ancora, però, una perfetta padronanza della nostra lingua (a tutti i livelli: lessicale, sintattico, morfologico). I nostri giovani connazionali vivono, così, una situazione fortemente contraddittoria essendo da una parte divoratori di informazioni e nuove tecnologie (ad esempio, leggono molti più libri rispetto alle generazioni precedenti e sono mediamente più acculturati), e dall’altro soggetti con una acclamata difficoltà a gestire forme di utilizzo della lingua italiana, specie quelle collegate ad alcune forme di italiano scritto.

Come interferiranno questi fatti con lo svolgere della vita scolastica? Saprà la scuola correre al passo coi tempi assorbendo e sfruttando al meglio le possibilità che gli vengono offerte dai nuovi mezzi di comunicazione? Saprà garantire una facile integrazione dei figli di immigrati? E cosa potrà fare per contrastare la tragica e atavica tendenza presente nel nostro Paese (specie in alcune sue aree) all’abbandono scolastico prima del termine della scuola dell’obbligo?

Su questi punti si è dibattuto nel corso di un Convegno che si è svolto a Roma organizzato dal GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica), i cui atti verranno pubblicati all’interno della collana Didattica Viva della Nuova Italia. Questo organismo, formatosi all’interno della Società di Linguistica Italiana, ha come compito statutario quello di discutere criticamente i problemi teorici legati all’educazione linguistica e di cercare di contribuire a rinnovare i metodi e le tecniche per il suo insegnamento.

Il Convegno è stato molto interessante anche perché ha visto impegnati fianco a fianco addetti ai lavori di tutti i livelli: dagli insegnanti delle elementari ai professori universitari.

Molto seguite sono state le relazioni che si sono concentrate sul tema del rapporto tra la scuola e i nuovi media. Computer, Compact Disc, ai quali ultimamente si sono aggiunti la possibilità di navigare in Internet e la possibilità di comunicare via E-mail, sono ormai diventati assidui compagni di viaggio nella vita di un individuo specie, se in età scolare. Era inevitabile, quindi, che questi strumenti arrivassero fin dentro un’aula ed interferissero con la figura centrale dell’insegnante.

Dalle relazioni presentate è emerso che i problemi collegati all’utilizzo dei nuovi media sono essenzialmente due: il primo è stabilire quali possono essere le concrete possibilità che le nuove tecnologie offrono legate alle esigenze delle nuove generazioni. Il secondo è intuire quale sarà il ruolo futuro dell’insegnante in una scuola dove saranno di casa computer, CD ROM e collegamenti ad Internet. A questi se ne aggiunge un terzo, che potrebbe essere visto come un corollario del primo: in che misura ed a che livello le nuove tecnologie influenzano la crescita psicocognitiva di un individuo?

Un’altra sezione molto interessante del convegno, soprattutto per i lettori di questa rivista, è stata quella riservata al problema della presenza sempre più numerosa di studenti non italiani e la sua ricaduta sull’esperienza didattica.

Nel corso delle diverse relazioni che si sono soffermate su questo specifico fenomeno sono stati citati più volte i dati raccolti dalla Caritas nell’ultimo dossier statistico sull’immigrazione (Anterem 1997), i quali mostrano come la percentuale di popolazione straniera nell’anno scolastico 1994-95 è aumentata del 38,5% rispetto all’anno scolastico 1992-93, anche se rimane ancora una percentuale molto bassa rispetto al totale degli studenti, ed il trend è confermato anche negli anni successivi. Questo progressivo aumento di studenti che non parlano la nostra lingua è frutto di quel generale fenomeno di nuova immigrazione che da vent’anni ha rivoluzionato il pubblico di utenti dell’italiano come lingua straniera. Si è passati infatti da un’utenza che si rivolgeva alla nostra lingua per motivi di interesse genericamente culturale, ad un pubblico di persone interessate alla conoscenza dell’italiano perché obbligate dalla loro scelta di vita di trasferirsi nel nostro Paese. Questo fenomeno, che agli inizi non riguardava l’istituzione scolastica (in quanto i primi immigrati avevano oltrepassato l’età scolare), comincia da qualche anno a coinvolgere direttamente gli insegnanti, specie quelli dei cicli materno elementare e medio inferiore.  Tutto ciò influenza non solo la quotidiana attività in classe, ma anche la ricerca universitaria chiamata a dare risposte alle tante domande che nascono dai problemi che può incontrare un insegnante, sia attraverso ricerche su argomenti specifici e sia con corsi di formazione rivolti agli stessi insegnanti. La scuola deve, quindi, imparare a convivere sempre più con classi mistilingui favorendo l’integrazione ed il successo negli studi di persone che partono con il grosso problema di non sapere parlare italiano. L’auspicio, emerso dalle relazioni presentate al Convegno, è che la nostra istituzione sappia fare tesoro degli errori commessi con i nostri connazionali dialettofoni, in modo da non allontanare questi nuovi utenti dalle nostre aule nelle stesse percentuali drammaticamente alte.

 

Andrea Villarini