Era il bello tenebroso e torbido del cinema anni ...
ROMA - Era il bello tenebroso e torbido del cinema anni
Cinquanta-Sessanta. Il tombeur de
femmes ombroso e timido del dramma borghese.
E’ancora bello oggi, a 77 anni, Gabriele Ferzetti. E ha ancora un carattere
schivo, scontroso, ruvido. E’in scena al Teatro Eliseo nel ruolo di Creonte,
nell’"Antigone" di Jean Anouilh: produzione dello Stabile del Friuli,
con la regia di Furio Bordon. Esordisce: "Non mi piacciono le interviste.
Non amo i giornali e dai giornali non sono stato mai amato. Lo so... è colpa
del mio caratteraccio: un modo di fare scorbutico che non mi ha mai giovato.
Ancora adesso i produttori mi fanno lavorare poco, perché temono il mio
carattere. Purtroppo non so cosa sia la diplomazia".
Ha mai provato a cambiare?
"Invecchiando, un po’ sono cambiato: un tempo ero anche
inaffidabile, capace di mollare tutto e andarmene all’improvviso da un set.
Oggi, invece, sono affidabilissimo e, anzi, vorrei approfittare per lanciare un
appello: fatemi lavorare di più , chiamatemi in televisione, dove potrei
sostenere tanti ruoli. Sono migliorato".
Latin lover e sciupafemmine del grande schermo. Si è mai sentito
ossessionato dalla sua bellezza?
"Da giovane, credo di aver dissipato il mio talento, proprio
per la preoccupazione di apparire bello: a volte pensavo più a come veniva
ripreso il mio profilo, che alle battute da recitare. Volevo essere
inappuntabile, ero condizionato dallo specchio, dal parrucchiere, ero legato a
un cliché . In realtà mi sentivo insicuro. Solo in seguito ho capito
l’importanza di sentirmi più libero, anche se spettinato".
Eppure, molte donne avrebbero fatto pazzie per lei.
"Sì , ma io ero un imbranato. Non ero assolutamente un
conquistatore, ero incapace di avere iniziativa, non sapevo corteggiare,
diventavo rosso. Sapesse quante volte ho desiderato donne, alle quali non ho
avuto il coraggio di rivelare la mia passione. Poi, dopo anni, a qualche
ricevimento rincontravo ..........................................(1)
donne che, magari un po’alticce per qualche
bicchiere di troppo, mi confessavano di avermi sempre desiderato. Restavo
sbalordito e mi mordevo le mani per la mia timidezza. Insomma, io avevo bisogno
di essere violentato, per esprimere i miei sentimenti".
Non ha mai avuto storie d’amore sul set?
"Solo con Angie Dickinson. Ma di belle donne, accanto, ne ho
avute tante altre".
Quali ricorda con più piacere?
"Gina Lollobrigida, con cui feci "La provinciale" e
poi "Venere imperiale"; Monica Vitti, nell’"Avventura", ma
anche Eleonora Rossi Drago...".
I registi che ha amato?
"Sergio Leone, perché era un regista che curava e amava molto
gli attori. Antonioni, per esempio, ti diceva di fare certe cose, senza
spiegarti il perché . Anche con Petri non ho avuto un buon rapporto: dopo
"A ciascuno il suo" nel 1967, non mi ha più chiamato. Con Fellini
avrei voluto lavorare, ma non mi ha mai cercato: non rientravo nelle sue
simpatie, lui adorava solo Mastroianni".
Mastroianni, un altro bello del cinema: eravate amici?
"Ci conoscemmo al centro teatrale universitario di Roma. Per
un periodo ci siamo frequentati. Lui era molto accondiscendente, accomodante,
pacioso, tutto il contrario di me. La frase più ricorrente che ricordo di lui è
"Aoh! Annamo a magna’". Ma io, nel mondo dello spettacolo, non mi
sono mai trovato a mio agio: un’accozzaglia di gente che si dà pacche sulle
spalle, che fa la simpatica e la disponibile. Tutti fanno finta di essere
amici, si danno un sacco di bacetti, un mucchio di smorfie, che io non sono mai
riuscito a fare".
Ma lei ha vissuto anche un capitolo americano, con John Huston.
"Quando arrivai negli Stati Uniti per la prima volta, non ero
più giovanissimo e mi pentii di non esserci andato prima. Partecipai a un film,
ma non conoscevo bene l’inglese e allora... Era troppo tardi per
imparare".
Dei registi italiani della nuova generazione, con chi vorrebbe
tornare ancora sul set?
"Al di là di Nanni Moretti e Roberto Benigni, che sono dei
fuoriclasse, mi piacciono molto i film di Paolo Virzì ".
E in teatro, un ruolo che le piacerebbe affrontare?
"L’ "Enrico IV" di Pirandello, ma nessuno me lo ha
mai proposto. Forse non mi ritengono all’altezza".
Non crede di essere un po’ troppo severo nei suoi confronti? Quasi
autolesionista?
"Dia retta a me: l’unica cosa che possiamo fare, noi vecchi
attori, è insegnare alle nuove generazioni qualcosa del nostro mestiere. Ecco,
mi piacerebbe fare la regia di uno spettacolo, recitato solo da giovani
attori".
[Emilia Costantini - Corriere della Sera, 24 Gennaio 2002]