IMPRENDITORIA GIOVANILE: UN PROGETTO PILOTA TRASFORMA UN VECCHIO
FABBRICONE IN UNA STRUTTURA CULTURALE
I ragazzi dello Zo di Catania
Imparare l’arte e farla diventare un business
CATANIA
QUANTO ci vuole a realizzare un sogno? Quattro anni se lo chiedete
a Sergio, Felicita e Ivano. I tre, meno d’un secolo tutti insieme, hanno messo
sottosopra il fabbricone catanese dove nel primo dopoguerra i nonni raffinavano
lo zolfo delle miniere siciliane e ne hanno tirato fuori un centro per
concerti, spettacoli teatrali, spuntini da gustare tra opere di artisti
snobbati dai circuiti ufficiali. Una storia semplice: Zo (www.zoculture.it) ha
aperto i battenti il 31 ottobre scorso, dà lavoro ad otto persone che nel 2005
diventeranno tredici, è un punto di ritrovo senza limite d’età.
"Quattro anni per realizzare un sogno. Il tempo di trovare lo
spazio, ottenere permessi e finanziamenti, ristrutturare gli ambienti". La
fa facile Felicita Platania, ma ancora stenta a credere di "essere
un’imprenditrice". Il progetto l’avevano in testa da un pezzo, chiaro come
..........................................(1)
che "volevano fare da grandi". Con
955 milioni messi a disposizione da Sviluppo Italia attraverso la Legge 236 per
i giovani, il gruppetto ha creato Officine, la società cooperativa che gestisce
Zo, e si è inventato un "business culturale". Zo nasce tra le
chiacchiere di quattro amici al bar. Solo che esce dal bar e cammina. Nel 1994
Sergio Zinna e Ivano Mistretta hanno finito di studiare cinema al Dams di
Bologna e tornano a casa. Aprono un locale, ma non dura molto. Abbastanza
perchè incontrino Felicita di ritorno da Roma, con una laurea in scenografia e
un mucchio di appunti. "Catania non ha mai avuto strutture permanenti per
la sperimentazione e la ricerca", racconta Zinna ricordando lunghi
pomeriggi del ‘97 con le mani affondate nelle tasche dei jeans a caccia di
angoli abbandonati della città . "L’area delle ex raffinerie ci è sembrata
perfetta: la riconversione del vecchio motore dell’economia locale risponde a
un indirizzo urbanistico europeo per attività culturali in industrie dismesse.
In viale Africa abbiamo subito pensato: ci siamo". Fin qui, il sogno.
La vita si riempie: di giorno il lavoro, la ragazza fa la commessa
in un body shop e gli altri due si mantengono vendendo foto da free-lance, la
sera appuntamento al pub Nevskj: tutte le energie vanno a Zo. Lo spazio c’è ,
il progetto cresce, mancano i soldi. Al Comune di Catania, sindaco ulivista
Enzo Bianco, un grosso manifesto reclamizza il concorso "Un vulcano
d’idee". ..........................................(2)
di Zinna passa la selezione, ottiene l’ex
raffineria di viale Africa in gestione per dieci anni e si aggiudica la
consulenza di Imprenditoria Giovanile per il prestito della legge 236: 480
milioni a fondo perduto, altrettanti con mutuo a tasso agevolatissimo.
"Quando ci hanno firmato la convenzione è stato come se tutti i tasselli
del mosaico andassero al posto giusto. In realtà il lavoro vero cominciava
allora: dovevamo imparare a gestire tutti ............................(3)
soldi", ricorda Mistretta. Con l’amico
segue a Roma il corso per imprenditori di Sviluppo Italia, Felicita va a Torino
a specializzarsi in "gestione delle attività culturali" al master
della Fondazione Fitzcarraldo.
Officine cresce: entrano nel gruppo Giovanna Cacciola, cantante
quarantenne dei rockettari Uzeda, e Francesco Grasso, tecnico informatico.
Nigel Allen, un architetto inglese da dieci anni residente in Sicilia, segue la
ristrutturazione. Zo è un cantiere aperto. "Non pensavamo che ce
l’avrebbero fatta", confessano a casa Platania. Piccola bugia da genitori
quando il figlio prende trenta e lode e loro, per pudore, fingono noncuranza.
Hanno seguito ogni passo: il papà di Felicita lavora con gli impianti elettrici
e ha supervisionato l’intera rete dell’edificio. La mamma di Sergio aiuta con
la contabilità. Fratelli, nipoti, figli sono precettati al gran completo nei
casi d’emergenza. Zo è "fatto in casa" ma ha mire ambiziose: una
piccola azienda con "tutti i dipendenti in regola". È il vanto dei
fondatori che in nero hanno lavorato, "come la maggior parte dei coetanei",
per "troppo tempo".
A Torino Platania ha imparato il business: "La cultura non è
necessariamente un’impresa in perdita". Ecco la sfida: "Dimostreremo
che si può guadagnare anche facendo scelte artistiche non commerciali. Contiamo
su progetti chiavi in mano con i comuni della provincia, corsi di formazione e
spettacoli a incasso". Si pizzica una guancia, ma sa che è tutto vero: da
Zo i ragazzi vanno a bere una Guinness tra vecchie ciminiere, comprare un libro
sull’architettura industriale nel bookshop di Officine, ascoltare un quartetto
punk che strapazza le chitarre davanti alle diapositive di una performance
sulla velocità supersonica delle immagini. Zo cammina. Dalle Biennali di
Venezia e Torino arriva la patente di "progetto pilota" per
l’imprenditoria giovanile italiana e il sindaco polista Umberto Scapagnini
applaude a un successo che appartiene alla città . Ci sono voluti quattro anni:
per un sogno ci si può pure stare.
[Francesca Paci - LA STAMPA, 20 Febbraio 2002]