Uno studio sì: l’italiano nel mondo
Da una ricerca del ministero degli Esteri emerge che
l’apprendimento della nostra lingua negli altri Paesi è in notevole crescita:
dal 1995 è addirittura del 38,2%. Asia, Sud America e Messico in testa.
Il ministero degli Affari Esteri ha pubblicato on-line un’ampia
sintesi della ricerca Italiano 2000. Si tratta di una indagine sulle
motivazioni che conducono allo studio dell’italiano tra gli stranieri. La
ricerca è stata condotta dall’Università "La Sapienza" di Roma e
dall’Università per stranieri di Siena. è emerso che l’italiano è tra le lingue
più studiate, e che l’attenzione dedicatagli all’estero è in crescita. Nel 2000
il numero di studenti che ha frequentato i corsi organizzati dagli Istituti
italiani di cultura è infatti aumentato del 38,2% rispetto al dato del 1995.
Chi vorrà leggere integralmente ..........................................(1)
sintesi, potrà trovarla in Rete all’indirizzo
www.esteri.it/polestera/dgrc/ital2000.pdf.
Nel frattempo, cercherò di commentare alcuni dei risultati emersi.
Il direttore della ricerca è il professor Tullio De Mauro, i collaboratori sono
il professor Massimo Vedovelli e i dottori Monica Barni e Lorenzo Miraglia.
Alle spalle di ..........................................(2)
ricerca sta una serie di indagini condotte
anni fa, i cui dati possono essere utilmente paragonati con quelli di oggi. Nel
1979 il ministero degli Affari Esteri pubblicò i risultati quantitativi di
un’indagine sullo studio dell’italiano all’estero condotta tramite le nostre
rappresentanze diplomatiche, poi completata con nuovi dati sul Canada. Nel 1981
fu pubblicata, con una bella prefazione di Sergio Romano, un’indagine sulle
motivazioni all’apprendimento della lingua italiana nel mondo, a cura del
ministero degli Affari Esteri e dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, sotto
la direzione del professor Ignazio Baldelli.
Studenti di italiano presso gli Istituti di cultura.
La ricerca del 1981 era più completa di ..........................................(3) di oggi, perché prendeva in considerazione
tutti i canali attraverso i quali avveniva l’apprendimento dell’italiano,
insegnato in corsi tenuti in scuole primarie e secondarie, in università, in
Istituti italiani di cultura, dalla Dante Alighieri.
Le persone impegnate nello studio dell’italiano risultavano allora
688.655, e il numero maggiore di studenti si riscontrava in Francia (142.150),
negli Stati Uniti (80.181), in Canada (67.833), in Svizzera (66.604), in
Germania federale (64.748), Australia (50.118), Argentina (38.900), Austria
(20.383), Jugoslavia (19.250), a Malta (18.642), in Svezia (11.413), Messico
(10.550), Danimarca (10.443). I dati pubblicati ora, invece, a quanto mi sembra
di capire, riguardano solo l’elaborazione statistica dei questionari inviati
agli Istituti italiani di cultura, pur se analoghi questionari sono stati
sottoposti anche alle ambasciate e alle sedi consolari. Si dovrebbe trattare quindi
di una prima ricognizione parziale, tale da servire soprattutto come
indicazione di tendenza. Gli studenti che frequentano corsi di italiano presso
gli Istituti di cultura risultano dunque, secondo i dati di Italiano 2000, nel
numero di 45.699. Tale numero è raffrontato con i dati nel 1995 del ministero
degli Esteri: allora gli studenti di italiano erano 33.065. Gli estensori della
ricerca ne traggono buoni auspici, valutando l’aumento consistente. L’indagine
pubblicata nel 1981 stabiliva tale numero in 36.353 per cui, sulla lunga
distanza, avremmo un grafico come ..........................................(4)
riprodotto in basso a sinistra.
La relazione si sofferma poi a lungo sui fattori positivi che
hanno prodotto l’aumento consistente degli studenti dei corsi di italiano negli
ultimi cinque anni. La spiegazione sembra essere ..........................................(5) di un «nesso fra la tradizionale forza di
attrazione della nostra lingua e i nuovi fattori economico-sociali-culturali:
tale nesso fa sì che l’Italia e l’italiano siano sempre più presenti come punti
di riferimento nelle scelte che gli stranieri fanno circa gli investimenti
formativi nel campo linguistico».
In realtà il seguito della relazione tocca un tema delicato: la frattura
netta tra gli Istituti di cultura che hanno avuto un aumento di studenti e il
45% degli stessi Istituti che ha avuto un calo. La differenza è marcata a
seconda delle diverse realtà del mondo, come si ricava dal grafico di ..........................................(6)
pagina, nel quale il paragone tra gli
studenti di italiano, sempre basato solo sul confronto tra il 1995 e il 2000,
viene distinto per aree geografiche.
Studenti di italiano distinti per aree geografiche.
Gli avanzamenti maggiori, dunque, si hanno in Asia, nel Sud
America e in Messico, mentre in altre zone, in cui pure c’è una presenza
"storica" di immigrati italiani, si hanno incrementi assai modesti.
Va però considerato che l’elaborazione di dati relativi ai soli Istituti di cultura
fornisce indicazioni parziali, forse anche fuorvianti, perché si tratta di
corsi particolari, in genere finanziati dall’Italia. Il costo minore o ridotto
a zero dei corsi è un incentivo, uno strumento che può essere usato con
sapienza per diffondere "politicamente" la nostra lingua in alcune
zone del mondo. Però sarebbe interessante sapere come vanno le cose quando gli
stranieri si organizzano i corsi da soli e se li finanziano, perché ..........................................(7)
indicazione rende molto meglio la situazione
del libero mercato, del reale prestigio di un idioma, e definisce il sentimento
di necessità o importanza che i discenti attribuiscono a una lingua. I dati
relativi alle motivazioni per le quali si studia l’italiano riconducono in
buona misura al prestigio culturale del nostro Paese, secondo una casistica
largamente nota, già emersa nel 1981, alla quale si lega l’interesse turistico
dell’Italia, legato alle città d’arte e ai beni artistici. Sembra però
acquistare importanza maggiore la motivazione del lavoro e dell’economia, e da ..........................................(8)
i relatori traggono altro motivo di
ottimismo. Spesso si studia l’italiano con la speranza di trovar lavoro in
Italia. C’è da chiedersi, allora, se la forte immigrazione dall’Asia e
dall’Europa dell’Est non sia uno degli stimoli forti. Speriamo che non ne
derivi, però, che il prestigio dell’italiano diminuisca o sia statico nei Paesi
ricchi e cresca solo in quelli poveri.
Gli estensori della ricerca mettono in luce una situazione
paradossale, per cui gli studenti europei in mobilità dichiarano che per venire
a studiare in Italia non è importante lo studio dell’italiano. La relazione
osserva che «l’Italia non chiede il preliminare possesso di livelli di
competenza in italiano sufficienti per gestire la comunicazione in ambito
universitario», a differenza di quanto accade negli altri sistemi universitari
europei. Infine risulta che gli adulti sono indirizzati all’apprendimento del
linguaggio settoriale dell’economia, dell’arte, della musica e della cucina, ma
che l’utenza più numerosa si concentra sul linguaggio della cucina. Lo
stereotipo del Pulcinella italiano che canta e mangia sotto il bel sole,
insomma, non è ancora tramontato.
[Claudio Marazzini – Letture, n.587, maggio 2002]