............................(1) ROMBO DI MOTORE A MISURA DELLA MODERNITÀ
La narrativa su gomma
DA D’ANNUNZIO A TONDELLI E BUSI
«Correvano su la rossa macchina precipitosa, nel pomeriggio
d’agosto, come in ............................(2)
lontano vespro di giugno per la via di
Mantova, correvano verso l’inferno di Volterra». Ignoriamo se ..........................................(3)
frase segni l’ingresso dell’automobile nella
letteratura italiana. Forse in opere precedenti c’erano state altre macchine,
altrettanto "precipitose", e forse più. Ma ..........................................(4) qui, come macchina, ci pare significativa per
tanti motivi. La frase apparve per la prima volta in un romanzo pubblicato nel
1910. Si verrà a sapere in seguito che la macchina correva a 25 kml’ora, dunque
non era tanto precipitosa. Anzi, oggi l’aggettivo fa ridere. Per non ridere,
bisogna andare con la mente a ............................(5)
tempo. Il romanzo è intitolato "Forse
che sì, forse che no" ed è di Gabriele D’Annunzio, al quale non sarà parso
vero di poter inserire un "bolide" nella sua letteratura eroica ed
erotica. Pochi, pochissimi allora possedevano una macchina, solo i
privilegiati, e il vate d’Abruzzo era appunto un privilegiato. Era un autore di
successo e con i soldi che guadagnava (e i debiti che gli pagavano gli editori)
poteva permettersi una macchina tutta sua.
Gabriele D’Annunzio un aedo dell’auto.
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macchina, nel romanzo, è sempre circondata da
aggettivi reboanti e sulfurei. «Correvano verso l’inferno di Volterra». A bordo
ci sono il protagonista Paolo Tarsis e la sua amante pazza anzichenò Isabella.
Paolo tiene stretto il volano (così viene chiamato il volante) mentre Isabella
parla e straparla. O meglio, vaneggia: «Ah, Paolo, su questa..........................................(7) via non c’è il carro carico di tronchi, né tu
mi minacci di schiacciarmi contro un mucchio di sassi, ma facciamo un viaggio
ben più dubbio». Intanto la macchina corre (si fa per dire). E intorno cosa
succede? «Il fuoco del solleone sembrava piovere a dilatate falde come sopra il
sabbione ove Dante vide star supini e immobili i rei di violenza contro Dio, di
continuo correre le greggi delle anime nude, la tresca delle misere mani senza
riposo scuotere le vampe, e solo giacere senza cura dell’incendio ............................(8) grande». E Isabella: «Non mi ami ancora.
Forse anch’io non ti amo ancora. Ancora non soffri assai di me; non soffro
assai di te come voglio».
Il paesaggio desolato.
La macchina corre in un paesaggio desolato. E nell’insieme la
scena raffigura, primo, un viaggio in macchina in una strada assolutamente priva
di traffico (beati loro). Secondo, l’ebbrezza della corsa punteggiata da colte
citazioni letterarie. Terzo, una titubante e farraginosa dichiarazione d’amore
di una donna al suo uomo al volante. Ci sarebbe un quarto elemento: il
fenomenale trombonismo e cattivo gusto di D’Annunzio, che anticipò il Kitsch in
tutte le sue forme, comprese ..........................................(9)
automobilistiche.
Ma non è ..........................................(10)
il luogo per bollare il ridicolo superomismo
del poeta soldato, che è stato senza dubbio uno dei fondatori, magari
involontario, della retorica del fascismo. Vogliamo qui ricordare, senza
nessuna pretesa di completezza, il ruolo che l’automobile ha giocato nella
narrativa italiana. Quattro ruote letterarie, potremmo dire. Procederemo per
assaggi, per piccoli esempi, evitando l’ordine cronologico.
Come è facile immaginare, l’automobile appare in diversi romanzi e
racconti, ma con funzioni diverse. In D’Annunzio c’è la celebrazione della
nuova potenza tecnologica, che accresce la vitalità dei protagonisti e nello
stesso tempo li porta alla dissoluzione: una parabola decadente cara al poeta.
Invece in Filippo Tommaso Marinetti, l’inventore del Futurismo, la
"macchina" è il simbolo supremo del progresso senza morale, ovvero di
uno sviluppo tecnologico che sfocerà nell’elogio puro e semplice (e ripugnante)
della guerra. In Mafarka il futurista, opera assai confusionaria ma con
elementi innovativi, c’è una "macchina" mostruosa, metà aereo e metà
automobile, che raffigura degnamente le idee scandalistiche e fanatiche del suo
autore. In molti altri casi l’automobile appare come un semplice mezzo di
locomozione, un mezzo che serve ad accorciare le distanze, punto e basta. Ed è
ovvio che i nostri narratori se ne siano serviti per conferire più brio, e più
velocità, alle loro storie, che in precedenza erano immerse nella civiltà della
campagna, dove si vedevano molti carri e carretti, calessi con cavalli bolsi e
birocci tirati dai poveri buoi, a prescindere dalle immancabili biciclette.
Moravia? Non ha la patente.
Era la stagione del Verismo, che si protrasse fino ai primi anni
del Novecento. Ma anche dopo non è che le automobili fossero più fitte,
tutt’altro. In Federigo Tozzi non ne compare nessuna, e neanche in Pirandello,
in armonia con la psicologia strapaesana dei loro personaggi, anche se muniti
di ideali metafisici. C’è da notare che ne Gli indifferenti di Moravia, romanzo
apparso nel 1929, l’automobile non ha alcun risalto, nemmeno simbolico. E ..........................................(11)
è strano, perché il romanzo è tutto calato
nella media borghesia dell’epoca, che certamente cominciava a spostarsi in
macchina anziché con le solite carrozze romane. Ma forse la cosa si spiega con
il fatto che Moravia non ha mai preso la patente. Eppure, anche nella sua
narrativa l’automobile, a un certo punto, assume un risalto particolare.
Succede nel 1960, anno in cui nelle librerie appare La noia. Come il lettore
ricorderà vi si narra la storia di un pittore di condizione agiata che a un
tratto smette di dipingere perché sente che tra lui e la realtà non c’è più
alcun rapporto vitale. Per tentare di uscire dalla crisi si innamora di una
modella, che però è ambigua e sfuggente, ed è portata al tradimento. Allora il
pittore tenta il suicidio provocando un incidente con la sua macchina. È
proprio il deus ex machina del romanzo, dato che durante la degenza in ospedale
il pittore riproverà un sentimento di solidarietà per le cose e le creature, preludio
alla soluzione della sua crisi come artista. E già che siamo negli anni
Sessanta, vogliamo ricordare Fratelli d’Italia (1963) di Alberto Arbasino. è la
storia di un gruppo di amiconi che va su e giù per la penisola, per partecipare
ai vari e variopinti avvenimenti culturali, come concerti, festival di prosa,
mostre, ecc. L’automobile è forse la vera protagonista del fluviale romanzo di
Arbasino, che ha l’ambizione di raccontare i gusti intellettuali di ..........................................(12)
anni, in cui il consumismo delle merci e gli
esperimenti artistici raggiunsero vertici parossistici, provocando nel
Sessantotto la nota reazione studentesca.
E siccome in Italia le mode arrivano sempre in ritardo rispetto
agli Stati Uniti, negli anni Sessanta si ebbe l’esplosione della Beat
Generation, che era già attiva nei Cinquanta. Il capofila di ..........................................(13)
generazione di scrittori americani, si sa,
era Jack Kerouac, che aveva scritto un romanzo che era tutto un programma: On
the road, cioè Sulla strada, fascinosa e picaresca narrazione della gioventù
americana, che in pratica viveva dentro le automobili, spostandosi
vertiginosamente da un punto all’altro dello sterminato Paese, ubriacandosi,
sniffando e buttandosi a capofitto in ogni sorta di avventura. Chi volesse
veramente celebrare l’"automobile letteraria" non ha che da mettere
sui ripiani più alti della biblioteca On the road.
Il simbolo della libertà
Noi non conosciamo un romanzo più "veloce" di ..........................................(14)
,
dove l’automobile è insieme il simbolo della libertà e della protesta contro la
politica ingessata di Washington. Un equivalente del nomadismo automobilistico
statunitense si avrà negli anni Ottanta in Italia, con i romanzi della nuova
ondata di scrittori, vale a dire Aldo Busi, Pier Vittorio Tondelli e Andrea De
Carlo. Nei loro romanzi e nei loro racconti ci sono parecchie automobili. Ormai
tutti, anche i ragazzi, possiedono le ambite (e spesso fatali) quattro ruote, e
siccome ............................(15)
narratori raccontano soprattutto le imprese
sballate dei loro coetanei, le automobili sono una presenza indispensabile. Ce
ne sono nei racconti di Tondelli, che se ne serve per spostare di continuo i
suoi personaggi che bazzicano tra Reggio Emilia e Bologna e sono sempre alla
ricerca dello "sballo" e dell’amore promiscuo. L’automobile c’è,
vistosa, in Sodomie in corpo 11 di Busi, che viaggia per divertimento e anche
per guadagnarsi da vivere come giornalista. C’è anche una scena con un
camionista, che ha preso a bordo il protagonista autostoppista per scopi non
proprio edificanti. Ma i camion avevano fatto la loro comparsa negli anni
precedenti, in tempi che a dire tragici è dire quasi niente.
L’allegoria del Male.
Ci riferiamo all’epoca della seconda guerra mondiale e alla
conseguente guerra partigiana, in cui furoreggiavano le camionette e i camion,
per esempio nella narrativa superlativa di Beppe Fenoglio. Ma c’è un racconto
lungo in cui il camion è l’allegoria del Male. Si tratta di 16 ottobre 1943 di
Giacomo Debenedetti. È un racconto di una ottantina di pagine, in cui tutto
l’orrore di cui sono capaci gli uomini è messo in evidenza nella descrizione di
una sola notte, quando i nazisti penetrarono nel ghetto di Roma, caricarono sui
camion migliaia di ebrei e li deportarono nei campi di concentramento. La
geometrica e nauseante potenza nazista è appunto raffigurata da ..........................................(16)
camion che invadono le strade e, con il loro
rombo, anticipano il rumore assassino dei lager. «Dei camion veniva abbassata
la sponda destra, e si cominciava a fare il carico. I malati, gli impediti, i
restii erano stimolati con insulti, urlacci e spintoni, percossi coi calci dei
fucili. Il paralitico con la sua sedia venne letteralmente scaraventato sul
camion, come un mobile fuori uso su un furgone da trasloco. Quanto ai bambini,
strappati alle braccia delle madri, subivano il trattamento dei pacchi, quando
negli uffici postali si prepara il furgoncino. E i camion ripartivano, né si
sapeva per dove; ma ............................(17)
loro periodico tornare, sempre gli stessi,
faceva supporre che non si trattasse di un luogo troppo lontano».
La "Marcia su Roma" di Lussu.
Altri camion, quasi ugualmente sinistri, si trovano in Marcia su
Roma e dintorni, di Emilio Lussu. Pubblicato nel 1945, questo..........................................(18) libro non è di fantasia. è anzi una cronaca
veritiera della famosa "marcia" che i fascisti fecero nel 1922 da
Milano alla capitale per impossessarsi del potere. Doveva essere, nelle
intenzioni di Mussolini, una marcia a piedi, ma evidentemente la distanza
consigliò di usare mezzi di trasporto più comodi. Per le sue qualità morali e
stilistiche, la cronaca di Lussu può essere considerata a tutti gli effetti
un’opera letteraria, e per ..........................................(19)
la citiamo qui.
Torniamo alle automobili. Ce n’è una, una Volkswagen, che dal
principio alla fine circola misteriosamente nel romanzo A che punto è la notte
di Fruttero&Lucentini, una coppia specializzata nel giallo. E proprio
attraverso la targa della Volkswagen gli investigatori riusciranno a pervenire
all’individuazione dei colpevoli. E poiché siamo nel giallo, ci piace ricordare
Todo modo di Leonardo Sciascia. Un pittore, a bordo della sua auto, arriva in
un luogo ameno, dove c’è una sorta di albergo privato in cui molti notabili
democristiani, ogni anno, fanno gli esercizi spirituali. E durante una meditazione
con preghiere e mea culpa, qualcuno muore, colpito dal proiettile di una
misteriosa pistola. Il pittore si incaricherà di scoprire il criminale. Dopo di
che, riparte con la sua automobile.
A ..........................................(20)
punto non ci resta che congedarci. Certo, si
potrebbero citare altre decine di libri in cui l’automobile la fa da
protagonista e da padrona. Ma il nostro intento era di evocare un aspetto
singolare della nostra narrativa, e magari di stimolare una possibile ricerca
delle motivazioni che spingono gli autori a servirsi delle automobili come
"motori" delle loro storie. Prima di chiudere, non possiamo
tralasciare una automobile che, in qualche modo, ha a che fare con la storia
della letteratura. Nel settembre 1928 Italo Svevo perse la vita in un incidente
automobilistico nei pressi di Motta di Livenza. La morte tolse allo scrittore
la soddisfazione di vedere il suo capolavoro, La coscienza di Zeno, salire
vertiginosamente nella considerazione critica degli italiani.
[Giuseppe Bonura – Letture, n.587, maggio 2002]