AFRICA
CHIARA CASTELLANI, MEDICO E MISSIONARIA LAICA
PIÙ FORTE DEL MALE
È in Italia per fare da testimonial alla Giornata dei malati di
lebbra. E racconta: il suo impegno in Congo, l’ospedale senza luce e acqua,
l’Aids, i massacri della guerra. E la sua vocazione. Tra le persone che ..........................................(1)
anno
fanno da testimonial per la Giornata mondiale dei malati di lebbra, che si
celebra il 27 gennaio, c’è anche Chiara Castellani, medico e missionaria laica,
tornata per l’occasione in Italia dalla Repubblica democratica del Congo (ex
Zaire), dove gestisce l’ospedale di Kimbau, nel Sud del Paese, diocesi di
Kembe. Chiara è personaggio ben noto nel mondo del volontariato, e non solo in ..........................................(2)
.
Di lei si sono largamente occupati giornali e televisioni (su Famiglia
Cristiana ne hanno scritto Mariapia Bonanate nel 1996 e Anna Chiara Valle nel
1999). è una di ..........................................(3)
persone che irradiano serenità e speranza e
la cui storia diventa esempio di una dedizione totale alla sofferenza dei
poveri.
Chiara è passata in mezzo a guerre e violenze d’ogni genere, in
America latina e in Africa, ha lavorato come chirurgo di guerra in condizioni
terribili; un incidente stradale le ha portato via un braccio e ora vive e
lavora con una protesi meccanica, ma ogni volta è sempre tornata a ..........................................(4)
che considera il suo posto, in mezzo alla
gente che soffre. Nel novembre dell’anno scorso è stata insignita del titolo di
Donna dell’anno «per il suo impegno di medico alle frontiere del mondo», ma
titoli e riconoscimenti non hanno cambiato la semplicità della sua vita e le
motivazioni di fondo che la ispirano. Dietro l’aspetto minuto nasconde una
determinatezza di ferro. Le chiedono spesso, quando la intervistano, se
rifarebbe ............................(5)
che ha fatto e lei risponde: «Non cambierei ..........................................(6)
vita per tutto l’oro del mondo».
Aveva 26 anni quando partì come volontaria per il Nicaragua, dopo
essersi laureata giovanissima alla Cattolica di Roma. Una vocazione che
maturava fin dalla più tenera età. Ma nelle vicende della rivoluzione sandinista
lei, ginecologa, si trova a dover affrontare la realtà della guerra, amputando
braccia e gambe dei feriti: «Nessuna immagine potrà mai rendere l’odore di una
gamba in cancrena», dice. Sei anni in Nicaragua; poi la partenza, «quando ho
deciso che non ero più necessaria, un’impressione bellissima». Vince un
concorso per l’Organizzazione mondiale della sanità, un incarico di prestigio,
ma quando incomincia lo stage di formazione e si trova a lavorare davanti a un
computer, è presa da un brivido, una forma di rigetto per le prospettive che
l’attendono, e dà le dimissioni: «Ho capito che ..........................................(7) vita non era per me, io sono fatta per stare
in mezzo alla gente». Prova a lavorare anche in Italia, «ma di notte, in sala
parto, mentre nasceva una vita, i miei colleghi parlavano di yacht e di
vacanze. Mi chiedevo: chi è sbagliato, io o loro?».
L’opportunità le viene da un annuncio dell’Associazione Amici di
Raoul Follereau di Bologna, che cerca un medico per un progetto sanitario
nell’ospedale di Kimbau in Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo). Un
impegno che doveva essere di tre anni e che è diventato definitivo, la ragione
di vita di Chiara. L’ospedale è una vecchia struttura lasciata dai belgi in una
zona fuori dal mondo; ha 300 letti ed è privo di ogni confort: non c’è luce,
l’acqua si prende a una sorgente che è a due chilometri, 200 metri più in
basso, le coperte sostituiscono le incubatrici, le comunicazioni sono
difficoltose. L’inizio è faticoso, non solo per ragioni ambientali. C’è una
certa ostilità dei medici locali che accusano Chiara di "rovinare il
mercato", con ............................(8)
poco di paga che prende. Poi l’incidente, nel
dicembre 1992, l’auto fuori strada durante un viaggio nella brousse, il braccio
stritolato. «Con l’emorragia che avevo, dovevo morire», dice. «Da medico ho
compreso che avrei perso il braccio, ma quando mi sono svegliata dopo
l’intervento la prima cosa che mi sono chiesta è stata: "Quanto me ne
hanno lasciato?". Ho pensato che dovevo farcela da sola, ma che non avrei
lasciato il mio lavoro, anche se non avrei più potuto operare. Non mi sono mai
pentita di aver scritto ..........................................(9)
lettera all’Oms». Chiara resta in Congo anche
quando la guerra sconvolge il Paese, seminando morte e distruzioni, e gli altri
fuggono. Fino al 1999 è il solo medico per 360 mila abitanti. Vede portare via
per sempre il suo più stretto collaboratore, il dottor Richard Munianganzo («Un
santo laico», lo definisce), vede la sua gente subire violenze d’ogni genere da
parte dei mercenari; a Kenge, i soldati di Mobuto massacrano centinaia di
persone inermi. «Eppure ..........................................(10)
non è gente violenta, è piena di entusiasmo,
i congolesi sono i più grandi esportatori di musica dell’Africa», dice Chiara.
«Le guerre le fanno gli altri, per interessi economici; la violenza è stata
imposta dall’esterno». Nel Paese spaccato in due dalla guerra, con le
infrastrutture distrutte e una situazione di insicurezza generale, l’ospedale
di Kimbau resta come un caposaldo. «Ma è difficile immaginare un ospedale senza
acqua né luce», dice monsignor Gasparde Mudiso, vescovo di Kembe, che ha
accompagnato in Italia la dottoressa Castellani. La guerra ha portato con sé un
aumento di malattie veneree e di Aids, la mancanza di strade rende impossibile
il controllo e la prevenzione di malattie endemiche come la lebbra e la
tripanosomiasi, la malattia del sonno, che provoca 70 mila morti l’anno. La gente
del posto vive miseramente, nutrendosi di vermi e cavallette («Che sono
buonissime», dice Chiara, «basta abituarcisi»). «Un progetto sostenuto
dall’Aifo», spiega monsignor Mudiso, «mira a realizzare una piccola centrale
idroelettrica in grado di rifornire di energia elettrica e acqua l’ospedale, e
in un secondo tempo anche i villaggi dei dintorni». Anche a ..........................................(11)
serve la presenza in Italia di Chiara e del
vescovo di Kembe. Fin troppo facile domandare a Chiara che cosa la emozioni di
più quando rimette piede nel nostro Paese, venendo da una realtà così lontana:
«Lo stupore di accendere la luce facendo un clic. Da noi la luce è un lusso
proibito».
[Claudio Ragaini - Famiglia Cristiana, n. 4, 27 genn. 2002]