MOLTE LE DIFFERENZE TRA I VARI PAESI NEL CAMPO DELLA FORMAZIONE. È
DIFFICILE PREVEDERE LE ESIGENZE DEL FUTURO
Scuola europea e "uomo flessibile".
LA presentazione di un quaderno dell’associazione Treelle (Long
life learning) è in ..........................................(1)
giorni l’occasione per nuove riflessioni e
discussioni sulla scuola italiana. L’enfasi nella presentazione dei dati
forniti è stata posta sulla necessità di una scuola "più europea".
Ciò che può significare, a ben vedere, due cose: necessità di percorsi di
insegnamento che portino alla formazione di cittadini europei, consapevoli di
una storia e di una cultura ricche e diversificate, ma sostanzialmente
riconducibili a tratti unificanti e comuni, storia e cultura dunque da
rileggere e trasmettere alle nuove generazioni in ..........................................(2) chiave; ma anche, ..........................................(3) è il secondo significato, una scuola che
garantisca standard di efficienza comparabili a quelli degli altri paesi
europei. I dati che di solito si citano quando si parla della necessità di una
scuola "a misura dell’Europa" riguardano il secondo significato e le
questioni certamente importanti che in ..........................................(4)
prospettiva si pongono, peraltro anche più
facilmente argomentabili con dati e indicatori statistici. Le questioni che
derivano dal primo significato, pure importanti, restano molto più in ombra,
perché più difficili. Basti pensare a quanta nuova ricerca e quale
riorientamento della didattica richieda ripensare storia e cultura in modo
comparato: l’osservazione naturalmente vale per la nostra scuola come per tutte
le altre. In una situazione in cui le richieste di formazione
tecnico-scientifica sono giustamente pressanti, bisognerebbe allora riflettere
anche seriamente sul fatto che l’impresa di costruire cittadini europei è un
compito difficile, che richiede molte risorse e un impegno politico convinto.
Ma veniamo al secondo significato. I nuovi dati confermano ritardi di efficacia
e efficienza della scuola italiana rispetto a standard europei, anche se si
mostra una tendenza da tempo stabilita a netti miglioramenti. ..........................................(5)
,
per inciso, è una osservazione importante: in molti discorsi correnti sembra
sempre che si debba partire da zero, ma non è affatto così. Il ritardo comunque
resta: per esempio, la percentuale di ragazzi fra 15 e 19 anni che frequentano
la scuola sono nella media europea 81, in Italia dieci in meno (ma quanto
dipende dalla scuola e quanto da altre ragioni?); gli investimenti sono
inferiori alla media europea, e male distribuiti; manca una seria verifica delle
capacità e del rendimento degli insegnati. ..........................................(6) è un punto delicato, che richiede di essere
affrontato con decisione; bisogna solo non dimenticare, facendolo, che un
reclutamento in molti casi lasciato per anni a procedure ope legis, vale a dire
senza concorsi, non è una particolarità della scuola, ma purtroppo in generale
del nostro sistema amministrativo, come non si stanca di ricordare il giurista
Sabino Cassese. I dati del "quaderno" dicono poi che il rapporto
insegnanti-studenti è superiore alla media europea. è un dato che potrebbe
addirittura segnare un vantaggio, se non fosse che confrontato con i dati di
rendimento del sistema formativo segnala piuttosto una inefficienza, forse una
cattiva organizzazione o una cattiva distribuzione. Non so dire molto al
riguardo, salvo qualcosa sull’Università. La mia esperienza è che i compiti
didattici connessi alla progettazione e alla gestione dei nuovi corsi previsti
dalla riforma, che ha come obiettivo fondamentale far crescere i possessori di
un titolo universitario nel nostro paese, corsi in genere avviati a costo zero,
hanno evidenziato una serissima carenza di organico. Parlando dell’Università,
vale la pena ancora fare una osservazione che riprende la questione dei
parametri sul rendimento delle nostre istituzioni formative, per non
nascondercelo, ma di nuovo per non enfatizzarlo polemicamente. è vero che la
percentuale di laureati sulla popolazione con più di 25 anni è per l’Italia
inferiore alla media europea (10 su cento, a fronte di 25 su cento), ma per
calibrare i giudizi sulle differenze bisogna tenere conto che fino a pochi anni
fa non esistevano in Italia corsi universitari brevi, che entrano nelle
statistiche degli altri paesi. C’è ancora un punto che vorrei porre a
conclusione, che mi sembra rilevante per ogni riflessione su una scuola
"più europea". Al di là di somiglianze e differenze riducibili a
confronti di dati quantitativi rispetto a una "media" dei valori in
Europa, è importante tenere presente che non esiste un modello di scuola
europea. Al contrario, esistono differenze molto importanti nelle istituzioni
di formazione, nel modo in cui sono organizzate e negli effetti che producono,
tutte cose che per lo più non si vedono nei confronti di indicatori sintetici.
La parte e l’influenza dello Stato nell’organizzare le istituzioni scolastiche,
per esempio, sono notevolmente diverse a seconda dei paesi; il problema della
combinazione di istruzione generalista e formazione professionale è risolto in
modi diversi nei percorsi formativi previsti; in Svezia e in Inghilterra, come
del resto in Giappone e negli Stati Uniti, l’istruzione specialistica mirata
alla professione ha una importanza molto limitata nell’accesso a ruoli
professionali e manageriali; il contrario si verifica per Germania, Italia e
Svizzera: qui i laureati hanno 2000 volte la probabilità di soggetti con titolo
di studio inferiore di accedere a ruoli professionali o dirigenziali, mentre in
Inghilterra la differenza scende a 1400 (e molto di più scende negli Stati
Uniti); capire bene perché permetterebbe una migliore comprensione dei processi
formativi all’interno della società. Le differenze qualitative che ora abbiamo
evocato entrano meno nella discussione pubblica, e il richiamo alla necessità
di una scuola "europea" considerata come media di dati statistici
rischia di nasconderli. Un’ultima osservazione per concludere. Tutte le scuole
di tutti i paesi dovranno confrontarsi con mutamenti importanti del mercato del
lavoro e delle possibilità di iniziativa economica autonoma. Il
"capitalismo flessibile" non fissa più le persone in stabili ruoli
lavorativi, rischia di rendere presto obsoleta una capacità acquisita, rende
meno prevedibili le carriere. Quali saranno le conseguenze a lungo termine
nessuno può con chiarezza prevedere: si va da scenari piuttosto apocalittici
circa la capacità di reggere un simile gioco da parte della maggioranza delle
persone, a scenari rosei che sottolineano il valore dell’autonomia e della
libera capacità di movimento che la nuova condizione consentirebbe di
realizzare. Probabilmente, come spesso succede, la verità starà nel mezzo; o
per meglio dire, potremo tenere il timone orientato a una accettabile rotta se
saremo capaci di orientare, compensare, organizzare le condizioni del processo
economico e gli adattamenti a ..........................................(7)
delle persone. Va da sé che la cura della
formazione delle persone ha un significato decisivo al riguardo. Il punto è che
nessuno sa bene quale tipo di formazione richiederà davvero ..........................................(8)
temuto o magnificato "uomo
flessibile", che oltretutto vogliamo che rimanga un cittadino, e un uomo.
Quando si vedono di fronte a noi problemi come ..........................................(9) , vale
almeno una raccomandazione per chi si occupa di formazione e per tutti noi:
essere diffidenti nei confronti di chi con troppa sicurezza ci presenta le sue
ricette.
Arnaldo Bagnasco – LA STAMPA, 14 maggio 2002