Felicità da manuale.
Imparare a essere positivi. Con un po' di altruismo. Qualche
pillola di filosofia orientale. La capacità di ignorare i desideri più forti. E
di non pensare al denaro. Un gruppo di psicologi americani ha messo nero su
bianco il nuovo codice della gioia.
C'era una volta... è un attacco che funziona sempre: sa di fiaba,
ma fa scoprire verità. C'era una volta un re, allora. Un re terribilmente
infelice. Nè i cortigiani nè i medici erano capaci di curane l'angoscia. Solo
la camicia di un uomo felice, qualcuno disse, lo avrebbe salvato. Il re spedì
messaggeri in giro per il mondo, a cercarlo. Lo trovarono. Ma l'uomo più felice
era così povero da non possedere nemmeno una camicia.
Questo non per dire che basta la salute - non basta – ma che il
segreto della felicità da sempre ci attira e da sempre ci sfugge. Da qualche
tempo si sono messi sulle .....................(1) tracce alcuni psicologi americani, e stanno
avendo miglior fortuna dei ............................(2)
connazionali con Osama. L'uomo che ha
inventato la "positive psychology" si chiama Martin Seligman e
insegna all'università della Pennsylvania. Basta occuparsi solo di depressione,
ha annunciato ai colleghi dell'Apa, associazione americana degli psicologi:
concentriamoci sulle risorse dell'essere umano, più che sulle .....................(3) debolezze. Aiutiamo la gente a raggiungere la
felicità, invece di rimestare sempre nei mali dell'anima. Parole sante nella
terra dove il diritto alla felicità è previsto dalla Dichiarazione
d'Indipendenza: così, oggi il movimento della psicologia positiva riceve
finanziamenti per milioni di dollari e coinvolge più di 60 studiosi.
Risultati? Il primo è che la felicità non è un dono del cielo: si
può coltivare. In più, pare convenga: le persone felici vivono a lungo, sono
creative e altruiste, hanno successo in amore, amicizie e lavoro, sanno
affrontare le difficoltà. Piacciono e si piacciono. Il secondo è che ciascuno
di noi, per .....................(4) natura, tenderebbe, per così dire, a un certo
livello di felicità quasi spontaneamente, a prescindere da ciò che gli accade.
Il terzo punto della "positive psychology" è che non esiste una sola
ricetta: "Le persone più felici godono di buona salute psicofisica e buone
relazioni sociali. Hanno amici e affetti", sostiene Ed Diener,
dell'Università dell'Illinois: "Ma non è detto che basti".
Un fattore chiave per la conquista della felicità è la capacità di
non farsi travolgere dai desideri", interviene Mihaly Csikszentmihalyi,
ungherese, della Claremont Graduate University: "Chi non si fa distogliere
da avidità, gelosia, paure e stress può avere una vita felice. Fondamentale è
imparare a concentrare la propria attenzione su alcuni obiettivi, come il
lavoro o il rapporto con gli altri. Mai solo su se stessi: troppa riflessione
su di sè, non aiuta a essere più felici. Non è sorprendente come culture
diversissime tra di ............................(5)
siano arrivate alla stessa conclusione, che la
strada per la felicità passa per la capacità di controllare il desiderio? Yoga,
zen, arti marziali, ascetismo cristiano e islamico: i metodi sono diversi, il
fine identico: non lasciare che la consapevolezza di sè sia distratta da
fattori esterni". Non a caso le persone che hanno una fede sono
generalmente più felici di quelle non religiose", conferma Christopher
Peterson, dell'Università del Michigan: "Il denaro, invece, non conta
molto". Questo sembrerebbe più difficile da credere, soprattutto dopo che
ricercatori dell'università di Warwick hanno quantificato al centesimo quanto
vale la felicità: un milione di sterline, 1,6 milioni di euro, in lire 3
miliardi tondi. Cifra destinata a cambiare stabilmente in meglio la vita di
chiunque, sostengono gli inglesi. Il benessere dà serenità, non felicità,
ribattono gli americani, e pensare troppo al denaro provoca infelicità. La
gente oggi vive in una società decisamente più ricca di quella di due
generazioni fa, spiega Seligman, eppure soffre di depressione dieci volte di
più. La via per la felicità è più complicata che vincere alla lotteria. Passa,
secondo Diener, per la capacità di dedicarsi seriamente a quelli che amiamo; di
impegnarci nelle attività in cui crediamo (il lavoro, la politica, il
volontariato, tutto ciò che rappresenta un valore); di imparare ad apprezzare
le cose importanti che abbiamo e non dar peso alle mille sciocchezze che a
volte ci guastano la vita. Che è poi esattamente quello che sta succedendo in
America, dopo l'11 settembre: la ricerca di una felicità più intima, il
nesting, l'annidarsi in casa, tra affetti e valori sicuri. Bene. Quasi. Perchè
di qua dall'Atlantico certe ricette sembrano troppo semplici. Attirano ma non
convincono. A volte irritano. Pascal Bruckner, per esempio, in L'Euforia
perpetua chiama "la dittatura della felicità a tutti i costi": un
imperativo delirante, pena l'esclusione dalla società. Boris Cyrulnik,
psichiatra autore di "Un merveilleux malheur", in un'intervista
pubblicata da "Le Nouvel Observateur" paragona la felicità a un luogo
immaginario, come il paradiso. Più facile cercarlo che trovarlo. Un cammino,
più che una meta. Un cammino che dura tutta la vita. I bambini apprendono le
emozioni come le lingue, e negli anni imparano a modularle", spiega Luigi Anolli,
professore di Psicologia all'Università Cattolica di Milano: "è vero che
possiamo dirigere le ..........................................(6)
emozioni, ma non pensiamo di affidarci a
ricette universali. Il concetto stesso di felicità varia da cultura a cultura.
Bonheur e felicità sono simili, equivalgono a gioia; happiness è l'essere
soddisfatto. Noi usiamo con parsimonia questa parola, in America è imperativo
essere su di giri, ti dicono sempre "cheer up". Le culture conoscono
emozioni diverse: in Giappone esiste una condizione di serena passività,
condivisa da persone che stanno insieme, che a noi è ignota. Ci sono culture
che non conoscono la nostalgia, altre la collera. Nel Nord Europa è un diritto
ma è saggio non arrabbiarsi, nel Mediterraneo è un dovere. Però in tutti i
popoli la gioia si esprime con la stessa mimica facciale, il "sorriso di
Duchenne", pieno, che coinvolge la parte inferiore del viso, scopre i
denti, e quella superiore, facendo "sorridere" anche gli occhi".
Le emozioni, secondo Anolli, sono una materia complessa: gestibile, ma non
completamente. La felicità ha una base psicologica e una fisiologica. "Nel
cervello abbiamo il sistema neurale della "ricompensa": si attiva
quando proviamo benessere, ci lodano, ci accarezzano, o se facciamo un
esercizio fisico piacevole. Attivato, produce endorfine ed enkefaline, in
pratica oppiacei naturali. Le persone in cui si attiva spesso sono più felici
di altre". Non solo: le persone che sorridono spesso sono più felici di
quelle che non sorridono, perchè le ..........................................(7)
espressioni sono in realtà dei messaggi
nervosi che mandiamo a noi stessi, e che modulano lo stato d'animo. "è
semplice: a star meglio si può imparare, a essere felici no. La psicologia
positiva quando parla di felicità intende in realtà benessere. L'analisi di
Seligman può essere riassunta così: se le cose vanno male, è colpa degli
eventi, se vanno bene, il merito è .....................(8) . Un po'
ingenuo. La felicità è indescrivibile, inconoscibile", interviene Paolo
Legrenzi, professore di Psicologia Cognitiva all'Istituto Universitario di
Architettura di Venezia e autore di un saggio sulla felicità: "La felicità
è nel ricordo. Quando siamo felici non lo sappiamo, molti filosofi e letterati
europei lo hanno scritto. Per la ..........................................(9)
cultura la sofferenza è un valore, basti
pensare a Leopardi, per gli americani no". Per noi è fondamentale anche
l'esperienza della solitudine: Sartre diceva, l'inferno sono gli altri.
"Il problema è: lo scopo della vita è quello di stare sempre bene? Non è
forse più saggio, come fa il Siddharta di Hermann Hesse, non investire troppo
in questa ricerca, per essere meno vulnerabili? Volere tutto, amicizia, amore,
salute, benessere, espone al rischio della perdita, dunque della sofferenza. Io
credo che porsi come obiettivo quello di essere felici porti all'infelicità.
Felice è chi non si pone il problema di esserlo".
[Valeria Palermi - L'ESPRESSO, Num. 8, 15 febbr. 2002]