UNA FORMA DI PENSIERO LEGATA ALLA NOSTRA FINITEZZA, CHE SI RIPRESENTA SEMPRE IN NUOVE FORME: ANCHE NELL'ERA DELLA TECNICA TRIONFANTE

 

TUTTE le rappresentazioni (mitiche? oppure già filosofiche?) dell'origine, sia di quella individuale sia di quella della specie, sono miti. Miti sono le storie della creazione del mondo, compreso quello biblico che solo indebitamente è stato, e talvolta è ancora, preso alla lettera come una storia "vera". E anche l'origine di noi come individui, benchè non rimanga per sempre avvolta nella storia del cavolo e della cicogna, ha comunque qualcosa che ci sfugge - come potrebbe dimostrare anche l'orrore che proviamo di fronte alle possibilità , oggi offerte dalla scienza, di pianificare razionalmente ogni cosa, in modo da prevedere e decidere fin dall'inizio tutto il destino di ogni individuo. L'ombra del mito si estende poi, ancora più fitta perchè lì non c'è scavo archeologico o datazione al carbonio che tenga, sulla fine della vita e il suo oltre. Tanto che si potrebbe dire che il mito coincide puramente e semplicemente con la nostra finitezza. Siamo necessariamente esseri "mitici" perchè nasciamo e moriamo, perchè prima non c'eravamo e dopo............................(1)  non ci saremo più. Già , ma gli animali, allora? Anche loro, infatti, nascono e muoiono. Se, come pare, è vero che gli animali sognano, potremmo pensare che la caratteristica della loro vita sia di non svegliarsi davvero mai, di non avere un vero principio di realtà che permetta loro di distinguere il sogno dalla veglia. Quanto a noi, quello che ci distingue è proprio la capacità di svegliarci dal sogno, e più in concreto di uscire dal mito per entrare nel mondo della conoscenza. Siamo all'inizio e alla fine immersi nel mito; ma non facciamo altro che cercare di ribellarci a questa appartenenza e di mantenerci svegli (anche la morte è figurata spesso come un sonno).

L'"astuzia dei monaci". Questa ribellione è ciò di cui il mito il più spesso parla: il serpente che spinge Eva a mangiare del frutto della conoscenza le promette anche che in tal modo lei e Adamo diventeranno immortali, e questo è il movente vero che la indurrà a cedere alla tentazione - anche se ci si potrebbe domandare come potesse temere la morte chi non l'aveva ancora sperimentata come una possibilità propria. Ma anche nel mito biblico il desiderio dell'immortalità si distingue difficilmente dalla volontà di divenire come Dio - dunque da tutta un'altra serie di benefici capaci di fare dell'uomo il padrone della propria vita e di quella degli altri esseri del mondo. Il Prometeo della mitologia greca è la figura emblematica di questo aspetto della questione. Egli ha insegnato agli uomini il dominio e l'uso del fuoco, e con questo anche di tutti i saperi e le tecniche. Non solo nella mitologia biblica, ma anche in quella del mondo classico, uscire dal mito conquistando la conoscenza è un atto di tracotanza, un peccato che l'uomo dovrà pagare - o come Prometeo incatenato alla sua rupe, o con la sofferenza di un'esistenza assoggettata alle malattie, alla morte, alla necessità del lavoro. Solo miti, questi? Dal punto di vista di una coscienza "illuminista", è facile pensare - e si coglie probabilmente in buona parte nel segno – che chi colpevolizza l'uomo della conoscenza sono i detentori del potere tradizionale fondato appunto sui miti: preti e autorità patriarcali di ogni tipo. Solo l'astuce des moines, dunque? Forse non è così semplice, l'età dei miti è per l'appunto una "età ", come una fase dello sviluppo umano in cui è troppo semplicistico immaginare un gruppo di astuti ed evoluti che inganna coscientemente tutti gli altri umani. Che sia così lo si vede anche dal fatto che la lotta contro..........................................(2)  il mito non è mai conclusa una volta per tutte. Anche la modernità più illuminata non riesce a consumare del tutto i propri margini oscuri, che si ripresentano sempre in nuove forme: Roland Barthes aveva intitolato Miti d'oggi uno dei suoi libri più famosi, nel quale analizzava i contenuti della cultura di massa come se si trattasse di recentissime mitologie. Difficile dire se anche questi miti siano prodotti ingannevoli di una casta di moines avidi di potere: un po', certo, lo sono, anche se i monaci astuti sono oggi i manipolatori pubblicitari, o politici, della coscienza collettiva. Ma dietro questo ritorno continuo del mito si cela probabilmente quel suo legame con la finitezza e la mortalità - il fatto che esistiamo solo essendo "gettati" in una cultura che ci condiziona e che possiamo criticare e modificare, come la lingua che parliamo, solo a patto di assimilarla e condividerla. Non ci liberiamo mai del tutto del mito; come non ci liberiamo mai del senso di colpa per la conoscenza. Miti come quello dell'Eden o come quello di Prometeo ci scuotono profondamente perchè sappiamo che, in qualche senso, dicono la verità . La scienza e la tecnica, in tutte le fasi del loro sviluppo e soprattutto oggi (pensiamo alla manipolazione genetica, alle tecniche di riproduzione, allo stesso traguardo del prolungamento della vita, o alle armi di distruzione di massa), hanno sempre suscitato insieme entusiasmi e paure del sacrilegio. Guardando al nostro oggi, possiamo pensare di vincere questi sensi di colpa "accendendo la luce", perseguendo senza...................................(3)  paura il programma di un conoscere sempre più fondato, valido, utile? Difficile crederlo, se si pensa a quanto la superstizione si diffonde proprio nel mondo della tecnologia trionfante: o come reazione oscurantista, regressiva, oppure anche come soddisfazione illusoria di una sete esagerata di successi che scienza e tecnica "reali" non sono - ancora? - in grado di soddisfare.

Un modo per uscire da questo circolo che sempre si ripete - mito, conoscenza, rimorso - può essere quello del pessimismo radicale leopardiano, per il quale la verità che possiamo conoscere finisce con l'essere solo quella che insegna la vanità di ogni sforzo umano teso a elevarsi oltre il mondo del nascere e del perire; dunque l'impossibilità, in fondo, di uscire dalla condizione mitica. Oppure si può ascoltare l'insegnamento del Buddha: invece di cercare una verità altra dalle apparenze, dai miti, entro...................................(4)  cui siamo immersi, conviene fare attenzione alle apparenze stesse, alle loro infinite sfumature, alla loro pura e semplice presenza, con una sorta di abbandono attivo che del resto è stato anche uno dei contenuti ricorrenti della mistica cristiana.

Un mondo di apparenze.

Quello che rende difficilmente accessibile, a noi occidentali, una tale forma di ascesi mistica è ciò che fu espresso da Platone: l'idea che il mondo quotidiano in cui viviamo sia un mondo di apparenze, dalle quali bisogna liberarsi per innalzarsi alla visione delle essenze. è ciò che fa la scienza con la sua ricerca di misure esatte e di comportamenti prevedibili; e anche quello che comanda la morale, incitandoci a non cercare l'utile immediato, la soddisfazione dei sensi, ma il bene puro, universale, duraturo. Nel libro settimo della Repubblica, là dove racconta il grande mito (di nuovo!) della caverna - gli uomini sono prigionieri in una caverna in cui vedono solo le ombre delle cose, credendole vere; e chi si libera salendo alla vera luce deve tornare da loro e cercare di condurli alla verità chiara - Platone prevede anche che i prigionieri non desiderino affatto uscire dal mondo delle ombre, sicchè chi ha visto la verità dovrà anche trascinarli con la forza. Si ricorderà che Popper ha scritto un libro su La società aperta e i suoi nemici in cui Platone era per l'appunto uno dei principali protagonisti "negativi", proprio anche per questa idea. Anche senza...................................(5)  stare con Popper, molti filosofi degli ultimi secoli - da Nietzsche a Heidegger a Deleuze - hanno parlato contro..........................................(6)  Platone e questa sua idea della verità . Forse anche a questo antiplatonismo si richiama Borges quando, nell'Aleph, pensa che la verità sia capace di liberarci solo se abbiamo il coraggio di perderci nella vertigine della sua irriducibile molteplicità , che si sottrae, ma anche ci sottrae, a ogni pretesa di arrivare all'ultimo, e morto, fondamento.

 

[Gianni Vattimo - LA STAMPA, 20 Febbraio 2002]