Milanesi, siete ...................................(1)
strada.
In attesa dell'edizione nazionale delle opere di Pietro Verri,
Enrica Agnesi pubblica una silloge di scritti autobiografici, escludendo il più
...................................(2)
e interessante, quel Manoscritto per Teresa
già edito peraltro da Gennaro Barbarisi (Milano, Serra ; Riva, 1983). La
ragione del carattere frammentario della maggior parte di questi testi,
raccolti ...................................(3)
il titolo Memorie (Enrico Mucchi Editore,
Modena 2001, pagg. 272, 25,82), sta nel fatto che essi contengono
"pensieri miei pericolosi a dirsi", come suona il titolo di uno di
essi. E i pensieri pericolosi concernono anzitutto il rapporto con il padre
Gabriele, rappresentante tipico della nobiltà milanese, "il più
implacabile nemico" del figlio, di cui invidia le doti autentiche, mentre
la sua cultura è puramente formalistica.
"Il Padre e la Madre non considerano altrimenti i figli se
non come un peso, come una diminuzione del patrimonio; quindi l'indifferenza
reciproca e l'odio persino, quindi il desiderio della morte ...................................(4)
di cui non si ottiene una discreta libertà e
una discreta sostanza per viver agiatamente". La tirchieria dei nobili è
tale che per i figli poco è più morte. E pensare che il Verri ha il culto della
famiglia, condanna l'istituzione dei cicisbei e reclama la tenerezza dei
rapporti familiari che comincia con l'allattamento materno. Confrontando la
situazione dei suoi concittadini con quella (vera o presunta) degli stranieri,
prorompe in un'invettiva: "Cari miei Milanesi, siete affatto ...................................(5)
strada; un ...................................(6) governo di ministri dispotici, di preti e di
frati fanatici e impostori hanno cancellato le tracce della natura da' vostri
cuori. Adorato Giuseppe II, vivi lungamente, conserva il vigore del tuo
grand'animo, non ti sgomenti la profondità de' mali... aprici gli occhi,
promuovi il buon costume, sollevaci dal fango in cui siamo immersi". Non
sempre il Verri si entusiasma per il despotismo illuminato, anche qui ha
"pensieri pericolosi a dirsi". Del resto la sua rapida ascesa nella
vita pubblica è legata al disgusto per la sua vita privata, che l'aveva spinto
agli studi di economia. Dedicata particolare attenzione alla questione della
Ferma generale, un sistema di tassazione affidato a una compagnia di
bergamaschi che ne traevano lauti proventi, il Verri inviò al ministro conte
Kaunitz un voluminoso memoriale che ne chiedeva l'abolizione. Ottenne qualche
successo, ma suscitò gelosie e rancori che alla lunga ne determinarono la
caduta. Al centro del volume spicca la prima edizione integrale delle Memorie
sincere del modo col quale servii nel militare e de' miei primi progressi nel
servigio politico, uno dei capolavori del Verri già noto ......................................................................(7)
pubblicazioni parziali, da ultimo a cura di
Gianni Scalia con il titolo Diario militare (Cappelli, Bologna 1967). Si tratta
in origine di lettere allo zio Primicerio Antonio Verri, rivedute e
parzialmente rifatte più di vent'anni ............................(8)
(1784). Il nucleo più interessante è ...................................(9)
dubbio la partecipazione alla guerra dei
Sette anni nel 1759-60. Nel maggio del 1759 il Verri si reca a Vienna, dove ha
acute osservazioni sulle donne austriache, più emancipate ma ............................(10) femminili delle nostre, e sul modo "di
fabbricar le case, di ammobigliarle, di mangiare, di vestire" che "è
quasi uniforme ..........................................(11)
i cittadini", sicchè "chi vede una casa
può dire di averle tutte vedute". Poi partecipa alle operazioni militari
in Lusazia (dove non gli sfugge la parlata "schiavona", cioè slava,
degli abitanti, fuorchè nelle città) e in Sassonia, finchè passa un mese e
mezzo a Dresda in casa di un simpatico calvinista discendente di emigrati
francesi ............................(12)
la revoca del l'editto di Nantes. Qui il
Verri ha agio di riflettere sulla sua esperienza di vita militare, estremamente
negativa. "Io... verosimilmente darò un addio per sempre a questo mestiere
che a confessione di tutti quei che parlano schiettamente e lo provano è un
mestiere da disperato. Ho piacere di averlo conosciuto anche per
disingannarmene; se non avessi avuto la risorsa di finire la campagna in una
bella città come questa (Dresda) non mi troverei di aver speso niente bene il
mio tempo. Io credeva che bastasse aver coraggio e buon senso per viver bene
all'Armata, credeva che vi fosse del buon umore, della bizzarria... non so se
tutte le Armate sieno come la nostra, ma in verità non ho trovati che
pochissimi oggetti grandi e interessanti e moltissimi disgustosi. Sentimenti ne
ho trovati generalmente nessuno". E qui racconta l'episodio di un
ufficiale che ride "smascellatamente" di persone cui si addiceva
piuttosto il sentimento della pietà. Sicchè non si meraviglia che i Sassoni
preferiscano i Prussiani agli Austriaci venuti a soccorrerli.
All'Hotel de Pologne, "che è una locanda frequentata" (e
qui ci sentiamo trasportati nell'atmosfera della lessinghiana Minna von
Barnhelm), "le stanze sono addobbate con quadri rappresentanti battaglie e
dappertutto i bianchi e rossi che siamo noi sono in positure umilianti e i bleu
(cioè i Prussiani) in atti di eroi e vincitori". Il Verri spiega tale
simpatia con la scortesia degli Austriaci, con il prestigio di Federico II e
con la comune religione riformata. Ma egli è suddito austriaco e perciò sulla
via del ritorno fa la sua corte a Vienna alla "Padrona", cioè
all'imperatrice Maria Teresa, di cui deve ammettere che "sebbene resa
corpulenta balla svelta e per una Signora di 42 anni è difficile il trovarne
un'altra più fresca di carnagione e bella donna". Tornato a Milano, si
seppellisce negli studi di economia e solo nel maggio 1764 può comunicare allo
zio di avere spedito a Kaunitz il grosso manoscritto sulla Ferma e di averne
ottenuto in cambio il titolo di Consigliere "...................................(13) soldo, ma con voto decisivo", che lo
abilita a pianificare l'abolizione della Ferma suddetta. E cominciano le resistenze
dei Fermieri. Gli anni milanesi sono segnati anche dai primi dissensi con il
Beccaria e dalla fondazione del l'Accademia dei Pugni. Ma con la lettera del 20
novembre 1768, di cui resta solo la data, terminano le Memorie sincere.
Che ne è della memoria del conte Pietro Verri? Di questo nobile
che può dire di se stesso: "Ho goduto delle distinzioni della mia casta,
quando ero ragazzo e giovane mi dicevano: Illustrissimo sì, Illustrissimo no.
Poi siccome non mi piaceva la vita neghittosa dell'ozio e che provavo sdegno
nel mio onore di vedere mal regolato il Paese da ignorantissimi uomini che
celavano il loro nulla con una gravità misteriosa e carpivano l'ammirazione
volgare con l'impostura della rappresentazione, questo sdegno mi spinse ad
affrontare le noie e la fatica d'istruirmi collo svolgere archivi, consulte,
dispacci antichi e colle ricerche perseveranti di tutto ciò che potesse
condurmi alla luce e poterla svelare a beneficio del Paese".
Che ne è della memoria di chi ha visto la luce dell'Illuminismo e
l'ha svelata a beneficio del suo Paese? Certo c'è una via del centro di Milano
che ne porta il nome. Ed è nota l'ammirazione che gli tributò sempre Alessandro
Manzoni e come la Storia della colonna infame sia una replica
"cattolica" alle Osservazioni sulla tortura. Ma oggi? Scorrendo
l'apparato critico del l'Agnesi si noterà la rarità di nomi milanesi o
lombardi. Si sono occupati di lui studiosi dalle Alpi al Lilibeo, piemontesi
come Leonello Vincenti e Franco Venturi (che rimediarono agli attacchi del contemporaneo
Baretti), veneti come Nino Valeri e Sergio Romagnoli, napoletani come Gennaro
Barbarisi. Anche l'editore del presente volume sta a Modena, e il volume stesso
figura come quarto della Nuova serie di una collana di Studi alfieriani diretta
da Marziano Guglielminetti (altro piemontese, per non parlar dell'Alfieri).
L'edizione Scalia del Diario militare è uscita a Bologna, la più recente
ristampa di quel capolavoro che è la Storia di Milano, a Firenze. ............................(14) male che Bossi non è arrivato fin là. Che
fanno i Lumbard? Forse sono in altre faccende affaccendati, magari nella
preparazione dell'Edizione Nazionale. Ma chi legge un'edizione nazionale, ...................................(15)
gli addetti ai lavori? Pietro Verri vorrebbe
ben altre edizioni, se i milanesi non preferissero le tenebre ai lumi.
"Cari miei Milanesi - direbbe il Verri - siete affatto ...................................(16)
strada...".
[Cesare Cases - IL SOLE 24 ORE, 23 genn. 2002]