L’ITALIA DIVERSA NEI..................(1)  RICORDI DELLE..............................(2)  DONNE

 

Gli uomini scrivono memorie per partecipare alla........................(3)  grande storia, le donne rievocano vite private, segreti familiari, in quella provincia che è la parte più viva d’Italia. Anche se i giornali la ignorano e la Tv la trasforma in macchietta.

Torno sui..................(4)  libri che mi mandano i lettori e la maggior parte sono di memorie e di ricordi. La differenza è che le memorie riguardano storie corali vissute in prima persona, come la guerra, l’emigrazione, l’impegno politico. Le scrivono gli uomini per contribuire alla........................(5)  grande storia. Invece i ricordi appartengono alla........................(6)  vita privata, ai............(7)  segreti di una famiglia, alle........................(8)  briciole di un mondo di provincia. Li scrivono le donne, quasi solo per sé stesse. C’è un verso di Marziale, poeta latino: «Poter gioire della..............................(9)  vita passata, è vivere due volte». Poi nel..................(10)  ricordo le pene sfumano, come ha detto Virgilio nell’..............................(11) Eneide: «Forse un giorno sarà dolce ricordare anche questo».

Mi sono piaciuti due libri di donne. Quello di Teresa Vittori, sposata, tre figlie, già insegnante di lettere, si intitola Ritorni ed è ambientato a Cori (Latina), dove Teresa è nata e vive, e a Caprarola (Viterbo), dove ha soggiornato. I ricordi affiorano da una foto, un nome, un suono, il profumo di un dolce. Come un investigatore scrupoloso, le basta un indizio per far rivivere personaggi e vicende speciali. E c’è l’incanto di un lessico familiare scomparso. Come i detti della..............................(12)  nonna di Teresa pronti per ogni evenienza, e per esempio: Lo pa’ degl’altri te’ sette scorze, il pane degli..............................(13)  altri ha sette croste. Era un mondo di fatiche, ma con esso ognuno si confrontava inventandosi la vita. Adesso che ci troviamo appiattiti su modelli ordinari e sul..................(14)  linguaggio televisivo, si prova rimpianto per un’epoca in cui ognuno esprimeva sé stesso.

Si intitola Il pianeta del..................(15)  fango il libro di Flavia Di Muzio, che vive a Chieti. Sulla..............................(16)  copertina appare la sua foto a 12 anni, ragazzina con le trecce e il viso serio, e sul..................(17)  risvolto quella di adesso, ottantenne sulla..............................(18)  sedia a rotelle e il viso sorridente. Tra l’una e l’altra foto, una vita da moglie, madre e maestra. Il pianeta del..................(19)  titolo è Collefalcone, frazione di Alanno, provincia di Pescara. In "quella terra dai..................(20)  viottolini di fango", a vent’anni fu mandata a insegnare in una scuola rurale con una classe sola, dalla..............................(21)  prima alla........................(22)  quarta. Ogni tanto pensava al............(23)  trasferimento, dimenticandosi poi di presentare domanda. E lì la gnoramae’, signora maestra, è rimasta per 35 anni, s’è sposata e ha allevato quattro figli, due maschi e due femmine. Da quella nicchia fangosa, Flavia ha visto cambiare l’Italia. La strada, l’acqua e la luce arrivate vent’anni dopo di lei. Il primo televisore che sostituì le serate di racconti nella..............................(24)  stalla. L’ingegnere americano che venne a trivellare in cerca di petrolio, e il petrolio davvero sgorgò ma per esaurirsi presto, così la maggior parte dei..................(25)  montanari che avevano sognato un lavoro se ne andarono in cerca di un altro destino. Finché non ci furono più bambini, la scuoletta venne chiusa e la maestra trasferita a Chieti, con la nostalgia per quel borgo che da ragazza le era sembrato invivibile. C’è un’appendice a questo libro intenso. Nella..............................(26)  lettera che lo accompagna, Flavia Di Muzio mi racconta che teneva il manoscritto chiuso nella..............................(27)  scrivania, perché venisse letto solo dopo la sua morte. Ma poi: «A Natale ho avuto in dono un panettone che mi sembrava un po’ pesante. L’ho aperto e ne è uscita una pila di libri. I miei figli avevano scoperto e fatto stampare il manoscritto. Ho pianto forse per un’ora lacrime di commozione, incurante delle..............................(28)  loro proteste e carezze». Bella storia di provincia, la parte più viva d’Italia anche se i giornali la ignorano e la Tv la trasforma in macchietta.

 

[Franca Zambonini - Famiglia Cristiana, n. 4, 27 genn. 2002]