I CONFLITTI DIMENTICATI

promosso da Caritas italiana

www.caritasitaliana.it

in collaborazione con FC e Il Regno

Impianto scientifico metodologico: Francesco Strazzari e Giampiero Giacomello Istituto Universitario Europeo di Fiesole

www.comeur.it/program/istruz/istituto.htm

Sondaggio SWG - Famiglia Cristiana

www.peopleswg.it

 

GUERRE DIMENTICATE

di Alberto Bobbio

 

Ventisette milioni di morti, 35 milioni di rifugiati. Solo dal 1990 al 2000, due milioni di bambini morti in guerra. Caritas italiana, Famiglia Cristiana, Il Regno, in collaborazione con Swg, Canale Tre, l'Istituto universitario europeo, il Centro Ferrari di Modena e altri...................................(1)  studiosi spiegano perché molti...................................(2)  conflitti sono finiti nell'oblio dei mass media e dell'opinione pubblica.

GLI ITALIANI E LE GUERRE: ECCO PERCHé LE DIMENTICHIAMO

LONTANO SEMPRE DI PIù

La ricerca e il sondaggio denunciano: se la gente non si ricorda dei conflitti, la colpa non è tutta...................................(3)  sua, ma anche dell'informazione. E del potere che vuole l'oblio. Uomini di tutte...................................(4)  le religioni riuniti a pregare per la pace. Altri...................................(5)  uomini di tutto...................................(6)  il mondo guardano in Tv le immagini di Assisi e pensano alla guerra: ai bombardamenti su Irak, Serbia e Afghanistan, agli attentati e ai carri armati in Palestina. Ma queste sono solo le guerre di cui parlano i mass media. Quelle che spesso vengono trasformate in uno spettacolo. La preghiera di Assisi ci ricorda che ci sono anche molti...................................(7)  conflitti dimenticati. Da decenni, e specialmente negli ultimi anni, in ogni............................(8)  parte del mondo ci sono guerre sanguinose. Hanno cause diverse e dimensioni variabili, ma definirli soltanto conflitti locali sarebbe ipocrita. Spesso sono provocati dalla miseria, dai debiti, da ideologie, da alleanze che coinvolgono altri...................................(9)  Paesi. Quasi sempre sono combattute con armi che vengono dalle nazioni ricche. Ha detto molto...................................(10)  bene Mikhail Gorbaciov qualche.................................................(11)  giorno fa (e già lo aveva scritto Dossetti nel '93): dopo la caduta dei muri, l'Occidente credeva di aver vinto la sua guerra contro l'Urss e ha pensato che ciò fosse sufficiente. Per 10 anni ha curato solo i propri interessi, e soltanto l'11 settembre si è accorto che anche la sua sicurezza è messa in crisi dallo scandaloso disordine mondiale. La risposta ragionevole non è la vendetta, questa non servirà. Le guerre e le violenze che continuano in tutto...................................(12)  il mondo richiedono, invece, il rafforzamento di una vera autorità mondiale e, soprattutto, una politica di giustizia e sviluppo, di democrazia e diritti umani per tutti...................................(13) . è una decisione che deve nascere anzitutto dalla coscienza dei popoli più sviluppati. Ma come sarà possibile se essi ignorano addirittura le dimensioni della tragedia e del pericolo, se i mass media li informano poco............................(14)  e male? Nella più alta e inascoltata Enciclica del Novecento, la Populorum progressio, Paolo VI aveva messo in guardia i ricchi dal «giudizio di Dio, la collera dei poveri, con conseguenze imprevedibili». È questo il senso profondo dello studio promosso dalla Caritas italiana insieme a Famiglia Cristiana e alla rivista Il Regno: troppe..........................................(15)  guerre, ingiustizie, violenze sono dimenticate. Giornali e televisione devono fare un esame di coscienza: senza una migliore informazione non ci sarà neppure un mondo pacifico e giusto. È una categoria ampia, forse troppo..........................................(16) . E poi sono "conflitti", quelli che ci hanno accompagnati dalla fine della seconda guerra mondiale, oppure vere guerre? Il titolo di questa ricerca sceglie la parola conflitti, che non è sinonimo di guerra. Anche se molte...................................(17)  situazioni dallo stato di conflitto degenerano nello stato di guerra. Dunque il "conflitto": situazione in cui due o più attori, individuali o collettivi, hanno interessi divergenti, in parte contrapposti, che sostengono e promuovono non necessariamente con il ricorso alla violenza. Si tratta di capire qual è la linea sottile che separa il conflitto dal "conflitto armato", di stabilire le fonti, le variabili, i sistemi della macchina narrativa che illustra i conflitti e che provoca, a un certo...................................(18)  punto, un salto nella razionalità politica e diplomatica, per cui il conflitto assume aspetti di rischio e di pericolo per le popolazioni. La macchina narrativa non è solo in mano ai giornalisti, i quali forse sono l'ultima rotella di un ingranaggio più ampio. Eppure i giornalisti sono tra i pochi...................................(19)  in grado di smontare la macchina, se tengono d'occhio il potere e i sistemi di oblio o di massima attenzione che il potere impone, ciclicamente, ai conflitti e agli interessi che li alimentano.

L'11 settembre dell'informazione.

Perché un conflitto viene dimenticato? Di chi è la colpa? Solo della gente che preferisce cronaca, sesso e scandali sulle prime pagine e in Tv, o anche di chi stabilisce il valore-notizia e la portata degli eventi? La ricerca afferma una cosa su tutte...................................(20)  le altre...................................(21) : è necessario in qualche.................................................(22)  modo riequilibrare l'informazione, perché non è vero che ai lettori o agli spettatori la macchina dell'informazione va bene così. Lo dicono quelli che ritengono "insufficienti" le informazioni sulle cause e sulle radici dei conflitti, lo dicono quelli che sono molto...................................(23)  o abbastanza (33 e 38 per cento) interessati a capire le ragioni geopolitiche dei flitti. Ciò che è accaduto dopo l'11 settembre nei giornali, nelle Tv e in Internet spinge al riequilibrio: il pubblico chiede di capire di più, i giornalisti devono fare uno sforzo per capire, prima, per poi spiegare. Ma la domanda che ci si deve porre alla fine di questa ricerca è se c'è un modo per far muovere i sismografi del valore-notizia, anche in tempi normali, per raccontare quelle parti del mondo, la tanta...................................(24)  gente che vive eventi "normalmente" tragici. Insomma, come fare perché qualcosa di oggettivamente importante, come un conflitto che diventa guerra, possa bussare alle nostre emozioni, se non addirittura alla nostra razionalità, e provocare indignazione, disturbare e magari mettere in moto un meccanismo che porti alla ricerca della verità. Sarebbe tutto...................................(25)  il contrario della smemoratezza, sarebbe l'esercizio di una memoria che si alimenta di informazione, di notizie, di analisi, di ricerca tenace dei retroscena, di colloqui con le fonti e gli attori che producono parole e immagini che devono stare a cuore di tutti...................................(26) , perché riguardano la vita, prima che la morte. Il sistema a cui la memoria si riferisce è quello complesso dei media. Ma esso, per offrire alimento alla memoria, deve fare lo sforzo di raccontare la complessità del sistema internazionale. Vi sono internazionali, risposte impressionanti alla ricerca della Swg, come quel 48 per cento che non conosce l'organizzazione di difesa di cui fa parte l'Italia, o quel 18 per cento che dice essere ancora presenti i nostri soldati in Somalia. Di chi le colpe, in un'èra in cui tutto...................................(27)  sembra aver perso mistero e segretezza? C'è un altro...................................(28)  equivoco che la ricerca smonta: quello del giornalismo di guerra, che non serve, perché è stato troppo..........................................(29)  mitizzato. Ed è accaduto recentemente, quando i cronisti hanno smesso di andar per trincee trascinandosi dietro i libri, le conoscenze degli uomini e della storia, capaci invece solo di raccontare sé stessi, senza riequilibrare, ancora una volta, la realtà e le cause con la storia, le emozioni con le fonti del dramma. I reportage mancano degli elementi di analisi, le intuizioni non hanno radici, gli eventi non trasmettono l'indignazione che può portare a un cambiamento delle cose. Sempre più raramente il giornalismo di guerra cambia le sorti della guerra, come era avvenuto invece per il Vietnam, la strage di My Lay, punti di rottura del giornalismo e del potere. Oggi la narrazione non disturba più il potere, anzi spesso è utilizzata per costruire alibi internazionali. È il meccanismo che impone il modello di narrazione e che stabilisce cosa ricordare e cosa no, cosa evocare e cosa nascondere. Le guerre che si analizzano nella ricerca sono tutte...................................(30)  "dimenticate". Ma, attenzione, sono dimenticate non solo dalla gente (per esempio quasi nessuno.................................................(31)  sa dove siano lo Sri Lanka, la Guinea-Bissau o il Congo), ma anche dalla comunità internazionale, dai politici, dalle istituzioni. O meglio, le analisi sono proposte per settori, perché in questo modo è più facile generare l'oblio e non mettere in moto l'indignazione. È la trappola che, di solito, il potere fa scattare. Le questioni vengono viste in termini di individui (analisi delle personalità dei leader, invio di patenti di buoni o cattivi), oppure in termini di opposizioni chiuse (Stato ed etnie, etnie e religioni, maggioranza e opposizioni, nazionalismo e ideologie, interessi economici e interessi sociali). Chi riesce a uscire dalla trappola? Chi riesce a smontare questa macchina narrativa semplice e sbagliata, e a ragionare in termini di sistema: distribuzione e forme dei poteri, flussi finanziari, ruolo del commercio, effetti delle dipendenze?

Più strumenti per capire.

È naturale che non esiste un numero definito di strati e neppure un numero dei fili rossi che tengono insieme il tutto...................................(32) . Ma più ce ne sono, maggiori sono il grado di analisi e il risultato di riequilibrio possibile del potere, che l'indignazione provocata dalla comprensione può mettere in gioco. I media dovrebbero occuparsi di avviare analisi a livello sistemico, anche perché oggi con Internet e con la comunicazione globale anche le politiche estere ed economiche hanno perso molti...................................(33)  gradi di segretezza e aloni di mistero. è un nodo importante, che non riguarda solo la quantità delle informazioni che si fanno girare, ma anche la qualità dell'informazione. Dalla ricerca emerge con molta...................................(34)  forza la richiesta di strumenti interpretativi, liberi da distorsioni, banalizzazioni, stereotipi. Sono questi che possono prendere il posto della opacità di quanto propongono le televisioni che dimenticano, i giornali che parlano di giornalisti, i politici e le istituzioni che credono di essere esaustivi, spezzettando la realtà di cose complesse in tante...................................(35)  piccole tessere facili da interpretare, che non danno tuttavia conto della complessità delle tragedie che coinvolgono i popoli. Un esempio c'è e una parte della ricerca, quella realizzata dalla rivista Il Regno, lo mette bene in evidenza. Sono le parole delle Chiese e del Papa. Quello che dicono sui conflitti dimenticati è il modo giusto di calibrare gli ingredienti della macchina narrativa, cioè del racconto di ciò che avviene: la Chiesa non ha dimenticato nessuna.................................................(36)  guerra e il suo modo di approccio alle situazioni è sicuramente di livello sistemico. È nella natura della Chiesa, forse, questa controtendenza. Ma ciò che preme qui mettere in risalto è l'occasione che offre la Chiesa ai media e quella che offre alla memoria dei fedeli. Purtroppo siamo ancora indietro. Sono poche...................................(37)  le parrocchie che educano alla conoscenza, alla responsabilità, al rispetto della cittadinanza dei popoli, alla mondialità; e sono pochi...................................(38)  i mass media che accettano la lezione di chi, a volte, usa anche l'invettiva per dire che dimenticare è un'offesa.

Rischi di neocolonialismo.

Rimuovere le cause dei conflitti è fuori dalla nostra portata e dagli obiettivi di questa ricerca. Eppure, se si riuscisse almeno a rimuovere le cause della dimenticanza, a mettere in moto un circolo virtuoso di conoscenze, di provocazioni, di invettive, si potrebbe anche arrivare alla soluzione dei conflitti. Ma occorre che i Governi tengano in conto e considerino plausibile ciò che le opinioni pubbliche possono dire. Il potere di solito non ascolta, non tiene in conto i diversi pareri, le analisi frutto di considerazioni sistemiche. Lo si vede sul tema della globalizzazione, sul quale è difficile smarcarsi dalle piste consuete, informative e politiche, per dire che esistono delle asimmetrie che caratterizzano il pianeta riguardo alla tutela dei diritti, all'accesso alle risorse, ai servizi, al credito; ed è difficile accettare le provocazione del Papa, che ricorda continuamente i rischi di una globalizzazione che assume aspetti di neocolonialismo. La stessa cosa vale per le teorie sulla sicurezza e sulla definizione del concetto di sicurezza, per cui non è più normale accettare il fatto che spesso i conflitti armati, tutti...................................(39)  i conflitti, colpiscono soprattutto innocenti e indifesi. Così le guerre lontane, che noi dimentichiamo, diventano il simbolo e la misura dei meccanismi di ingiustizia sociale. La Caritas, che ha avuto l'idea di questa ricerca, chiede nuovo rigore nell'analisi, altrimenti "gli ultimi della fila" si perderanno. Per sempre.

 

Alberto Bobbio

 

ECCO I RISULTATI DEL SONDAGGIO

Quali guerre ricordiamo? Le più recenti, le più vicine a noi, quelle su cui i media insistono di più. Le altre...................................(40) ? Dimenticate, o quasi. Il sondaggio People Swg ha interessato un campione rappresentativo di 600 persone. La maggioranza ritiene che l'opinione pubblica italiana non sia sufficientemente Balcani informata sulle guerre e sulle ragioni che le Bosnia determinano, e questo implica un giudizio negativo sui mezzi di informazione. Ma buona parte degli intervistati dice anche di non avere un interesse "forte" su questi temi. Il campione, comunque, riconosce nella Chiesa cattolica e nell'Onu le voci che più di tutte...................................(41)  si levano contro l'ingiustizia delle guerre.

 

[Famiglia Cristiana, n. 4, 27 genn. 2002]