Bruno Di Biase è Senior Lecturer presso l'University of Western Sydney.
Alle soglie del duemila, l'italiano in Australia sta ancora vivendo della "rendita" generata dalla crescita degli anni ottanta, in cui ha assunto un ruolo di primo piano nell'insegnamento delle lingue seconde nella scuola elementare. Non sorprende quindi il fatto che il primo "programma" ufficialmente approvato (giugno 1997) per l'insegnamento di una L2 nella scuola elementare del Nuovo Galles del Sud sia quello per l'italiano - che fungerà, appunto, da modello anche per altre lingue.
L'italiano dunque è ancora oggi tra le lingue più studiate in Australia. La presenza più vistosa si riscontra nella fascia elementare, dove è la lingua seconda più studiata in assoluto, con 215.428 alunni nel 1993. Questa cifra riflette, per la nostra lingua, ciò che ho chiamato altrove una "domanda naturale", trainata dalla presenza di circa mezzo milione di italofoni (Di Biase et alii, 1991). Nella scuola secondaria, con quasi 74.000 studenti come pure nell'università (con 4500-6000 studenti in tutta l'Australia) l'italiano gode di una posizione relativamente forte, collocandosi alle spalle di Giapponese, Francese e Tedesco e a fronte della crescita molto marcata di lingue quali il Cinese e l'Arabo. Tuttavia non è il caso di assopirsi sugli allori. L'espansione numerica degli anni Ottanta e l'insistenza sulla qualità della programmazione e soprattutto sui risultati ottenuti dall'insegnamento/apprendimento delle lingue seconde in ambito formale (scolastico) e ancora di più la spinta ideologica del razionalismo economico mettono l'italiano sotto pressione, forse più ancora di altre lingue. Tale pressione è ancora più preoccupante se si vuole mettere, seriamente, l'italiano in condizione di raggiungere l'obiettivo della continuità di uso e sviluppo all'interno della collettività italiana e dintorni e quello di affermare il proprio ruolo di seconda lingua privilegiata nel contesto scolastico australiano riuscendo a "battere la concorrenza" (si fa per dire) di L2 a carattere più internazionale, come il francese, o percepite come più utili, quali il giapponese o il cinese. La scelta di lingue che riflettono motivazioni più strumentali che affettive dovrebbe emergere, per esempio, nel numero di studenti che scelgono una lingua rapportato al numero di parlanti di quella lingua. Dalle cifre riportate in Clyne, Fernandez, Chen, Summo-O'Connel (1997) si può vedere che attualmente, proporzionalmente, più una lingua è presente sul territorio meno viene prescelta come materia per esami che "contano" ai fini della carriera. Oggi la lingua percepita come importante in tal senso è il Giapponese. Ecco che l'italiano invece (la lingua seconda più usata sul territorio) è anche il fanalino di coda come lingua scelta per l'esame finale della scuola secondaria.
Per quanto si riferisce all'università anche se l'italiano non è riuscito a mantenere i livelli che si riscontravano all'inizio degli anni Novanta mantiene ancora oggi una presenza di tutto rispetto: viene insegnato in 15 università in corsi di laurea in Lettere o Lingue e Pedagogia.
Allora che cosa può aiutare l'italiano a mantenere una posizione privilegiata nel sistema scolastico, almeno in alcune fasce scolastiche e nell'università? Per chi usa l'inglese come madre lingua l'italiano è tra le lingue più "facili" almeno inizialmente. Questo è un vantaggio innegabile, rispetto a lingue molto distanti dall'inglese come lo sono le principali concorrenti asiatiche. In secondo luogo, se l'italiano riesce a fornire modelli utili sul piano dell'innovazione metodologica, della sperimentazione, della qualità della programmazione e dei materiali allora si può ben sperare che riesca a mantenere la sua "fetta di mercato" come prima L2 nelle elementari. La globalizzazione delle comunicazioni, come delle economie, paradossalmente rendono sempre più necessaria la conoscenza, accanto all'inglese, di più lingue. Questa è dunque una delle carte che l'italiano può giocare.
Anche importante mi sembra una buona presenza sul piano della ricerca per almeno due motivi: da una parte è bene che la sperimentazione si muova in parallelo con la ricerca se non si vuole sperimentare nel vuoto e se è necessario, come infatti lo è, misurare risultati e rendere conto della sperimentazione stessa. Dall'altra parte senza ricerca rimane ben poca motivazione per lo studio dell'italiano al di là del corso di prima laurea. E comunque, la ricerca che accoppia l'italiano alla linguistica (teoria, variabilità, acquisizione, glottodidattica), alla storia, alla musica o ad altre discipline è tra le poche strade praticabili per chi fa italiano in università non italiane.
In qualche misura alcune di queste cose stanno succedendo in Australia per iniziativa delle collettività nonché della scuola e dell'università. Le collettività stanno allargando o consolidando l'insegnamento dell'italiano sempre più in collaborazione con la scuola e spesso prendendo l'iniziativa nell'aggiornamento professionale degli insegnanti. Inoltre negli ultimi due anni vi è stato un incremento senza precedenti nei media con ascolto (radio e TV in italiano) che avranno un effetto di rinnovamento dell'uso dell'italiano nelle collettività.
La scuola, specialmente elementare, da parte sua sta sperimentando una varietà di programmi di immersione parziale il che comporta l'uso della L2 come lingua veicolare per l'insegnamento di una materia specifica, come per esempio le scienze. C'è anche stata la sperimentazione, molto ben riuscita almeno in una scuola elementare, di un programma di lettura con ascolto che si basava su di un esperimento canadese e comportava la lettura, per mezz'ora quasi tutti i giorni della settimana scolastica, durante la quale i bambini ascoltavano, per mezzo di registratore e cuffia audio, ciò che essi avevano prescelto. Il programma, che si chiama Leggi-Ascolta e che in parte ancora prosegue, si basa sull'apprendimento autonomo della lingua da parte degli alunni.
Nonostante la buona riuscita di un programma quale Leggi-Ascolta (alla stragrande maggioranza dei bimbi piaceva) questo si è trovato davanti a problemi pratici non facilmente superabili. La necessità di usufruire di spazi dedicati (un vero lusso nella intasata scuola di oggi), i tempi necessari per garantire la continuità, la manutenzione tecnica del laboratorio, la fornitura di materiali freschi e interessanti e infine il costo di produzione - proibitivo - di libri illustrati a colori e di nastri audio, che costituiscono la base contenutistica di un programma del genere, si sono rivelati, in ultima analisi, problemi determinanti al di là della buona riuscita didattica del programma.
Nel prossimo futuro alcuni di questi problemi verranno superati da due tendenze che si vanno affermando anche ai livelli elementari: da una parte una pedagogia che fa sempre più affidamento sulle capacità di apprendimento autonomo da parte dell'alunno, supportata, dall'altra parte, dallo sviluppo multimediale. Per esempio è molto meno costoso produrre oggi un compact disk con venti piccoli libri illustrati e sonori che produrre gli stessi venti libri in carta e senza audio. Ma è ancora molto difficile trovare una scuola elementare che disponga di una quarantina di computer con capacità di girare CD e che possano essere dedicati, almeno per una parte della giornata, all'apprendimento linguistico.
Cenni bibliografici
Clyne M. et alii, Background Speakers: diversity and its Mamagement in LOTE Programs, Canberra, NLLIA, 1997.
Di Biase B. et alii, Unlocking Australia's Language Potential: Profiles of 9 Key Languages in Australia, Vol. 6: Italian, Canberra, NLLIA, 1994.