I versi parisillabi. |
Leggiamo questa filastrocca di Gianni Rodari: ha un ritmo è cantilenante perché gli accenti cadono sempre sulla terza e sulla settima sillaba.
Filastrocca del gregario corridore proletario, che ai campioni di mestiere deve far da cameriere, e sul piatto, senza gloria, serve loro la vittoria.
Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia ! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza.
Lo stesso ritmo cantilenante per le stesse ragioni: gli accenti metrici hanno posizioni fisse. Eccoli:
A questo punto occorre però notare anche un altro particolare: gli accenti ritmici di un verso non sono tutti uguali ce ne sono di più marcati e ce ne sono di più deboli.
Negli schemi che abbiamo visto sopra gli accenti principali (ictus primari), essendo considerati forti, sono rappresentati con il segno (+) ; gli accenti secondari, considerati piť deboli (ictus secondari) sono rappresentati dal segno (-).
Notate che il verso ha un suo andamento ritmico e non sempre accade che l'accento tonico della parola coincida con un ictus, primario o secondario.
Si potrebbero leggere ancora molti versi per vedere la regolarità nella distribuzione degli ictus che caratterizza il verso parisillabo.
Leggiamo ora questi versi di Alessandro Manzoni; sono decasillabi. Accento metrico principale fisso in P3 - P6 - P9.
S'ode a destra uno squillo di tromba; a sinistra risponde uno squillo: d'ambo i lati calpesto rimbomba da cavalli e da fanti il terren.
Notate la struttura sempre identica, che si replica per tutto il componimento (128 versi), con un effetto ritmico molto particolare e ricercato.
Lo stesso capita in un altro notissimo componimento manzoniano, in dodecasillabi o senari doppi. Gli ictus cadono sempre nelle stesse posizioni: quelle che il verso senario prescrive come obbligatorie: P2 - P5 - 98 - P11 (dove P8 e P11 sono ovviamente la seconda e la quinta posizione del secondo senario, accostato al primo).
Dagli atri muscosi dai fori cadenti, dai boschi, dall'arse fucine stridenti, dai solchi bagnati di servo sudor, un volgo disperso repente si desta; intende l'orecchio, solleva la testa percosso da novo crescente rumor.
I versi imparisillabi. |
Una varietà ritmica decisamente più marcata presentano in italiano i versi imparisillabi. Forse per questo furono molto più apprezzati dai nostri poeti delle origini, che ne decretarono il successo e li consegnarono come versi classici della poesia italiana alle generazioni successive.
Questo naturalmente non significa che noi li riterremo "più belli": ogni giudizio estetico non può fondarsi su un unico elemento. Quello che ci interessa è per descrivere quali versi sono possibili in italiano.
Faremo qualche esempio legato al verso più noto di tutti: l'endecasillabo.
Leggiamo le prime due strofe della Divina Commedia:
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinnova la paura !
Come avrete certo notato, l'unico ictus in posizione fissa è quello su P10, com'è ovvio, trattandosi di endecasillabi. Tutti gli altri ictus primari e secondari hanno posizioni variabili.
Se leggete ad alta voce questi versi, vi accorgerete che il loro andamento ritmico è diverso da quello un po' cantilenante di versi parisillabi che abbiamo letto prima.
La mobilità degli isctus nell'endecasillabo dà a questo verso una notevole varietà ritmica.
Potete dunque imbattervi in un verso dal ritmo lento e solenne come questo, che apre una canzone di Leopardi, Ultimo canto di Saffo:
Placida notte e verecondo raggio
Oppure può anche capitarvi di leggere un endecasillabo ossessivo nel ritmo come questo di Pascoli, in Tuono:
Rimbombò rimbalzò, rotolò cupo
Notate in quest'ultimo esempio pascoliano che l'ictus in P10 impedisce di considerare un ictus l'accento tonico della parola "rotolò" la cui ultima sillaba cade in P9.
Avevamo già notato, leggendo i versi della Canzona di Lorenzo il Magnifico che non tutti gli accenti tonici diventano ictus, perché il verso ha un suo andamento ritmico.
Ma là si trattava di un ottonario, cioè di un verso che ha gli ictus in posizioni fisse. Qui invece si tratta di un endecasillabo, un verso che permette la mobilità degli ictus: perché allora non è possibile considerare ictus l'accento tonico della parola "rotolò" ?
Il fatto è che in nessun verso si possono collocare due ictus l'uno vicino all'altro. E poiché l'ictus in P10 in un endecasillabo è obbligatorio, la posizione P9 deve essere atona, priva cioè di ictus, primario o secondario che sia.