Il Convivio |
Ciò che si deve sottolineare è che di queste importanti tematiche Dante osa discutere anche in volgare, una lingua che fino a quel momento è stata considerata conveniente tutt'al più alla materia amorosa che la cultura retorica medievale giudica umile, mentre per la discussione dotta solo il latino è considerato lingua degna. Ebbene Dante ritiene invece che il volgare ha potenzialità tali da poter sostituire degnamente il latino, perché tutti l'apprendono naturalmente fin da bambini e perché dunque esso consente la divulgazione del sapere, un tesoro cui ogni essere umano deve poter attingere. Sicché non solo la materia poetica di Dante si amplia, si amplia anche il pubblico cui lo scrittore si rivolge: non più la ristretta cerchia di amici, ma l'umanità intera che deve poter trovare nell'opera letteraria ammaestramento e consiglio capace di condurla alla salvezza eterna.
Il Convivio testimonia l'acquisizione da parte di Dante di una profonda cultura filosofica, il delinearsi dei suoi interessi politici e lo sviluppo della sua riflessione linguistica. Le allusioni che compaiono nel testo a fatti storici o ad accadimenti biografici consentono di datare quest'opera nel periodo tra il 1304 e il 1307, anche se una studiosa, Maria Corti, ragionando sui rapporti tra quest'opera e il De vulgari eloquentia, propone si ascrivere agli anni 1303/1304 la stesura dei primi tre trattati e al 1306/1308 la composizione del quarto. Va ricordato comunque che le canzoni raccolte sono state composte negli anni precedenti e che furono scelte dal poeta stesso per essere introdotte nel trattato; è il commento in prosa ad essere statto scritto negli anni indicati. Il Convivio è un'opera di divulgazione dottrinaria, ma è incompiuto; Dante compose solo quattro dei quindici trattati progettati in origine, forse perché nel frattempo sia la composizione del De vulgari eloquentia sia soprattutto della Commedia assorbirono in tutto la sua attenzione. Il Convivio cominciò a circolare solo alla fine del XIV secolo, non privo di errori e lacune.
Il primo trattato ha valore introduttivo e comprende tredici capitoli; il secondo e il terzo sono costituiti ciascuno da una canzone, rispettivamente Voi che 'ntendendo 'l terzo ciel movete, Amor che ne la mente mi ragiona, e da un commento che si articola in quindici capitoli; il quarto trattato commenta in trenta capitoli la canzone Le dolci rime d'amor ch'i'solìa. La simmetria governata dal numero quindici, i numerosi rinvii interni a parti che poi non furono scritte, testimoniano l'organicità del progetto, benché incompiuto.
E' necessario osservare che in questo trattato Dante non solo riprende spunti di riflessione teorica, che già sono presenti nella sua produzione giovanile, dando loro sviluppo e sistemazione complessiva, ma propone le teorie linguistiche, che trovano poi compiuta discussione nel trattato latino De vulgari eloquentia, e le osservazioni politiche, che saranno poi approfondite tra il 1313 e il 1318 nell'altro trattato latino, Monarchia. Ma ciò che i lettori di quest'opera non hanno mancato di notare sono soprattutto i suoi rapporti con la Commedia: è nel Convivio infatti che Dante mette a fuoco la dottrina sottesa alla complessa costruzione del poema nei suoi aspetti filosofici e scientifici: è qui che Dante propone la sua concezione del sapere, che è per gli esseri umani difficile ma necessaria conquista, cammino drammatico e tuttavia agognato, perché in esso si compie il desiderio umano più profondo: il ritorno alla casa celeste del Padre, il ricongiungimento dell'anima con la propria origine.
La materia del libro è incentrata sulla filosofia scolastica, che attraverso l'opera di san Tommaso d'Aquino e Alberto Magno intende conciliare la dottrina aristotelica con la dottrina cristiana. Il primo trattato, il proemio dell'opera, ribadisce la continuità con l'esperienza della Vita nova , ma, a differenza che nell'altro prosimetro, qui Dante identifica un pubblico nuovo cui egli intende rivolgersi. Agli uomini e alle donne affamati di sapere che le circostanze pratiche della vita hanno tenuto lontano dagli studi e dunque non conoscono il latino, Dante imbandisce un ÇconvivioÈ di sapienza, in cui le canzoni son le ÇvivandeÈ ed i commenti in prosa il ÇpaneÈ che le accompagna. La scelta di un pubblico, che non è quello dei dotti o degli amici con cui si condividono gusti e interessi, porta a considerare del tutto decisiva la scelta del volgare, di cui Dante coglie originalmente le possibilità comunicative. La scelta del volgare nella Vita nova era giustificata in modo piuttosto generico:
E lo primo che cominiò a dire sì come poeta volgare, si mosse però che volle far intendere le sue parole a donna, a la quale era malagevole di intendere i versi latini.Nel primo trattato del Convivio invece la riflessione sulla lingua è molto più profonda e il De vulgari eloquentia, scritto nello stesso periodo, dimostra con chiarezza che la questione della lingua è per Dante problema che si pone proprio in relazione al pubblico non dotto che egli sceglie e a cui si propone di giovare, divulgando la vera conoscenza che, in quanto vera, conduce inevitabilmente alla salvezza. Il poeta dunque definisce anche con nettezza il ruolo sociale che ritiene di poter assegnare a se stesso: egli è maestro che indica la via, guida per chiunque sappia riconoscere in sé il desiderio di sapere. Per questo Dante difende qui con puntiglio la sua reputazione, intaccata dalla condanna all'esilio che egli giudica segno del sovvertimento morale dei tempi.Vita nova, XXV, 6, a cura di Domenico De Robertis, in Dante Alighieri, Opere Minori, t.I, p.I, Ricciardi, Milano-Napoli, 1984
Il secondo trattato s'articola nel commento alla canzone, che risale alla fine del 1293, Voi che 'ntendendo 'l terzo ciel movete. Nel trattato è discusso il senso delle scritture e il valore dell'allegoria nei poeti e nei teologi (se la lettera del testo per i primi può anche essere Çbella menzognaÈ, per i teologi anche la lettera sarà veritiera). Su questa premessa è fondato il commento letterale della canzone in cui compaiono impegnative digressioni sull'ordine dei cieli sulle gerarchie angeliche e sull'immortalità dell'anima. E' poi menzionata la morte di Beatrice, la sofferenza che l'evento causò, le letture consolatorie di Boezio e Cicerone; infine è affrontato il nodo centrale del discorso. La lettura dei filosofi antichi fa comprendere a Dante ciò che già confusamente egli aveva intuito al tempo della Vita nova: la filosofia è donna gentile e misericordiosa capace di consolare l'animo sofferente proprio perché maestra di Verità.
Tutto il terzo trattato che commenta la canzone Amor che ne la mente mi ragiona è dedicato alla lode della donna gentile-Filosofia, in cui sono ripresi i motivi stilnovisti della donna mediatrice tra l'umano e il divino, della donna che dà beatitudine appunto perché dà conoscenza.
Del tutto diverso appare il quarto trattato. Intanto perché molto più lungo, poi perché il tema amoroso è del tutto abbandonato, infine perché Dante rinuncia all'allegoria. La canzone Le dolci rime d'amor ch'io solìa è infatti impegnata a definire l'idea di nobiltà come qualità morale, propria dell'individuo che riceve questo dono dalla grazia divina. Dante sviluppa qui quella concezione borghese di nobiltà che già era presente nella canzone di Guinizelli Al cor gentil rempaira sempre Amore. L'assenza di finzione allegorica nella canzone cambia anche la struttura del commento tutto dedicato a discussioni di carattere etico e politico.
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