Opere teoriche: <i>Monarchia</i>
Monarchia

Il trattato latino in tre libri sulla Monarchia universale, ossia sull'impero, è difficilmente databile. L'opera è riconducibile al clima di scontro polemico che oppose a più riprese tra XIII e XIV secolo i sostenitori della teocrazia e gli anticurialisti al servizio dell'Imperatore e del re di Francia che difendevano invece l'indipendenza del potere laico da quello religioso e sostenevano i diritti dell'Imperatore o anche i diritti delle monarchie nazionali allora nascenti. E questa la ragione per cui, appoggiandosi anche alla testimonianza di Boccaccio si è pensato che l'opera sia stata scritta negli anni della discesa in Italia di Enrico VII, quindi tra il 1312 e il 1313. Tuttavia un riacutizzarsi della polemica si ebbe nel 1317, quando salì al soglio pontificio Giovanni XXII un papa teocratico. Inoltre un cenno contenuto nel trattato ai versi 19/22 del V canto del Paradiso e numerose concordanze formali e contenutistiche con la terza cantica della Commedia, fanno oggi abbastanza persuasi che la datazione tarda sia quella da preferire.

L'opera ebbe una certa fortuna tra i difensori delle prerogative del potere civile, sicché nel 1329 fu bruciata come libro eretico dal cardinal Bertrando del Poggetto e nel Cinquecento fu collocata nell'Indice dei libri proibiti da cui uscì solo nel 1881 per opera del papa Leone XIII. Questo destino difficile ebbe influenza sulla tradizione manoscritta, che consta di soli venti codici. La prima edizione a stampa si ebbe a Basilea, un paese luterano, nel 1559 e la prima edizione italiana a Venezia nel 1758.

Il trattato sviluppa idee che già erano presenti nel Convivio. Ogni libro affronta e risolve una questione con molta perizia argomentativa. Il primo libro pone una premessa: il fine dell'uomo è la conoscenza, grazie alla quale egli può vincere il drammatico conflitto col peccato. La piena realizzazione delle capacità intellettive degli uomini può avvenire soltanto se la vita terrena si svolge in pace. Una sola istituzione può garantire la pace: l'impero, la cui necessità è dimostrata attraverso un'argomentazione morale e giuridica coronata da una constatazione: l'avvento del Messia si verificò solo quando il mondo fu completamente pacificato sotto il regno di Augusto.

Il secondo libro dimostra che i Romani costruirono di diritto il loro impero, perché così volle la Provvidenza divina. Due tipi di prove sono addotte: le une proprie della ragione, le altre della fede. Secondo ragione si può sostenere che di diritto i Romani dominarono il mondo perché furono nobili, e furono nobili perché nobile fu il loro antenato Enea; realizzarono il loro impero perché furono favoriti dai miracoli divini e perché risultarono vincitori in duello, in cui vince chi ha Dio dalla propria parte. Secondo fede la legittimità dell'impero è provata anche dalle circostanze della nascita e della morte di Cristo: la nascita del Signore coincise col censimento e riconobbe dunque implicitamente l'autorità imperiale così come la morte che avvenne perché quella stessa autorità punì in Cristo il peccato di Adamo. Il terzo libro infine discute un tema assente nel Convivio : il rapporto tra potere imperiale e potere ecclesiastico. Entrambe le autorità emanano da Dio, nessuna delle due è superiore all'altra. L'imperatore dipende dal papa solo come uomo, non come rappresentante dell'autorità imperiale. La tesi è fondata su un puntuale commento alle Scritture e sulle prove della ragione. Dante confuta qui la tesi teocratica dei "duo magna luminaria", delle due grandi luci, del sole e della luna, considerate rispettivamente simbolo del papa e dell'imperatore. Dante osserva che mentre l'esistenza dei due poteri implica anche l'esistenza dell'uomo, il sole e la luna furono creati il quarto giorno, mentre l'uomo fu creato il sesto giorno. Sicché è improponibile l'analogia teocratica, ma quand'anche fosse ammissibile, è necessario osservare che la luna riceve luce dal sole, ma ne è totalmente indipendente; il che significa che il papa può aiutare l'imperatore con la grazia della sua benedizione, ma non può pretendere da lui nessun atto di subordinazione. Le prove fondate sulla ragione sono poi fondate sulla dichiarazione di invalidità della donazione di Costantino, un atto giuridico che nel medioevo si credeva autentico. In esso l'imperatore Costantino donava Roma e altre terre al papa Silvestro, riconoscente per essere stato guarito dalla peste. Soltanto in età umanista Lorenzo Valla dimostrò che il documento era un falso. Dante infatti non mette in discussione l'autenticità, ma la legittimità del documento: l'imperatore non poteva alienare ciò che non aveva il diritto di alienare, né il papa aveva il diritto di accettare, perché il Vangelo vieta alla Chiesa il possesso dei beni temporali. Infine L'indipendenza dei due poteri è dimostrata anche dal fatto che l'impero esiste da prima della Chiesa e che la Chiesa non ha l'autorità di conferire il potere imperiale, perché Cristo rifiutò davanti a Pilato la potestà terrena. In conclusione i due poteri sono indipendenti perché Dio volle che ciascuno di essi guidasase l'umanità al conseguimento dei suoi due fini: la felicità terrena cui provvede l'impero e la felicità eterna cui provvede la Chiesa. E siccome la felicità terrena è imperfetta senza quella eterna, l'imperatore deve al papa quel rispetto che ogni figlio deve al proprio padre.


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