Soltanto tredici sono le Epistole che ci sono state conservate dal carteggio del
poeta coi suoi corrispondenti che doveva essere molto fitto. Tutte e tredici sono del
periodo dell'esilio e sono in latino, strutturate secondo le regole della retorica
medievale per il genere letterario dell'epistolografia. Questi scritti infatti sono detti
"Epistole" infatti e non "lettere", perché non hanno carattere privato, ma sono
rivolte per lo più a persone illustri e trattano di eventi pubblici. Se il gusto di
queste lettere segue i dettami della retorica coeva, occorre però anche dire che lo
stile di Dante è in esse molto personale, polemico, appassionato, impegnato a
persuadere o a confutare, ad esprimere indignazione o commozione. Il contenuto delle
Epistole è per noi anche un importante documento che fa luce non tanto
sugli eventi della vita del poeta, ma sul progressivo maturare dei suoi interessi e delle
sue scelte. Tra le lettere più interessanti vi sono le tre scritte tra il 1310/11
in occasione della discesa in Italia di Arrigo VII: una (V) contiene un appello ai Signori
e ai popoli d'Italia perché seguano senza indugio l'imperatore erede dell'antico
impero romano; un'altra (VI) si rvolge ai Fiorentini e li ammonisce duramente
perché non si oppongano all'imperatore; la terza (VII) sprona l'imperatore stesso
ad agire senza indugi contro Firenze. V'è poi una lettera (XI) indirizzata ai
cardinali italiani dopo la morte di Clemente V per esortarli a eleggere un Pontefice
capace di riportare a Roma la sede apostolica. Un'altra lettera (XII) datata 1315 ha per
destinatario un non meglio identificato "amico fiorentino"; qui Dante espone le ragioni
morali per cui non può accettare l'amnistia che Firenze gli offre ma a condizioni
disonorevoli. Vi è infine una lunga epistola (XIII) indirizzata a Cangrande della
Scala a cui il poeta dedica alcuni canti del Paradiso . Qui compare il titolo del
poema ed una presentazione della struttura, dei significati simbolici e delle
finalità della Commedia. Di questa epistola è stata a lungo messa in
discussione l'autenticità , oggi si ritiene generalmente che sia di Dante, mentre
resta incerta la datazione (tra il 1316 e il 1320)
Epistole
Ecloghe
Dante scrisse anche due Egloghe latine su modello virgiliano. Sono due scritti che
segnano la rinascita della poesia pastorale, destinata a notevole fortuna in età
umanistica e che testimoniano, se ancora fosse necessario, la vastità degli
interessi espressivi di Dante, che questa volta prende a modello non il poema epico del
suo maestro Virgilio, ma le Bucoliche . Le due egloghe furono composte tra il 1319 e il
1320, una è di 68 esametri, l'latra di 97, entrambe furono scritte in risposta al
grammatico e retore Giovanni del Virgilio che insegnava a Bologna. Questi aveva
rimproverato a Dante l'uso del volgare in un poema di così alta materia come la
Commedia e lo esortava a comporre in latino un'opera che piacesse ai dotti e gli facesse
ottenere l'alloro, emblema della gloria poetica. Nei due componimenti il poeta difende il
volgare e lo stile comico e manifesta, oltre alla nostalgia per la patria, anche la sua
speranza di gloria, riposta proprio sul suo poema.
Ecloghe
De situ et forma aque et terre
E' questa un'opera pervenutaci soltanto da una stampa del 1508. Si tratta di una tesi
filosofica pronunciata a Verona il 20 gennaio 1320 alla presenza del clero in cui è
dibattuta una questione cosmologica relativa al perché le terre emergano dalla
superficie delle acque, in cui Dante offre una spiegazione diversa da quella contenuta
nella Commedia.