Vita - approfondimenti
La nascita di Dante

A Firenze nel 1265, tra maggio e giugno, ma non si sa esattamente in che giorno, nacque Durante Alighieri, che però tutti chiamavano - e chiamano - Dante. Era figlio di Alighiero e di Bella, forse degli Abati, sua prima moglie, morta già nel 1275. Pare che Alighiero si sia risposato con una donna di nome Lapa, che abbia avuto da lei due figli, Francesco e Tana, e che comunque sia morto nel 1283. Sembra che i rapporti tra i due fratellastri, Dante e Francesco, fossero buoni, dato che presero a prestito insieme da un certo Iacopo del fu Litto dei Corbizzi la somma di 480 fiorini. Tra i garanti del prestito figura il suocero di Dante, Manetto dei Donati, perché nel frattempo, nel 1285 secondo alcuni o nel 1295 secondo altri, Dante aveva spostato Gemma, figlia appunto di Manetto, che gli era stata promessa con istrumento dotale nel 1277 per decisione delle rispettive famiglie. Dal matrimonio nacquero tre o quattro figli (Iacopo, Pietro e Antonia, ma forse anche un Giovanni).

Pare, sembra, forse, si dice,...il fatto è che sulla vita del nostro più famoso poeta le notizie sono poco precise o poco attendibili. Malgrado il puntiglio di tante ricerche sulla famiglia o sugli eventi della vita di Dante, sull'identità delle figure femminili che compaiono nell'opera del poeta, non è stato possibile accedere a notizie del tutto sicure sia per la perdita di molti documenti d'archivio, sia per l'imponente tradizione costituita dalle voci, dalle opinioni di tutti coloro che commentarono gli scritti danteschi. Il poeta d'altronde parlò pochissimo della propria famiglia, ad eccezione del suo trisnonno Cacciaguida, che in tre canti del Paradiso racconta di sé, dell'origine padana della famiglia, della Firenze dei suoi tempi e anche del destino del suo trisnipote.


La nascita di Dante










La famiglia di Dante

Malgrado le incertezze, non è tuttavia che non si sappia nulla. Si sa infatti che la famiglia di Dante apparteneva alla piccola nobiltà guelfa di origini antiche, ma di condizioni piuttosto modeste. Il padre di Dante, Alighiero, come suo nonno, Bellincione, probabilmente esercitò l'attività di cambiavalute, ma non ebbe un ruolo di rilievo nella vita politica fiorentina, tant'è vero che non patì l'esilio dopo la vittoria ghibellina di Montaperti nel 1260.

Dante fu laico e, finché visse a Firenze, visse nella condizione di un gentiluomo dell'epoca: servì il Comune nelle truppe a cavallo, facendo onore all'obbligo per i nobili di partecipare alle guerre a proprie spese e con un un proprio cavallo; nel 1289 partecipò alla battaglia di Campaldino contro gli Aretini e sempre nello stesso anno fu alla spedizione di Caprona contro i Pisani. Ai gentiluomini spettava poi di sostenere le spese per i festeggiamenti riservati ai principi stranieri in visita alla città, e così nel 1294 quando passò per Firenze Carlo Martello, figlio di Carlo II d'Angiò, anche Dante diede il suo contributo.











L'educazione di Dante

Malgrado le ristrettezze della famiglia, Dante ricevette una buona educazione. Nella prima fase dei suoi studi a Firenze ebbe un'influenza notevole Brunetto Latini, notaio, guelfo, personalità eclettica che nell'enciclopedia Li livres dou Tre'sor raccolse notizie, scientifiche, filosofiche, politico-economiche, retoriche; fu traduttore di Cicerone, soprattutto commentò il De inventione, un'opera che trasmise al volgare le regole della retorica classica. Secondo Giorgio Petrocchi, illustre dantista, Brunetto non diede a Dante un insegnamento scolastico, fu piuttosto maestro di idee e gli fece conoscere, oltre alla retorica antica, la letteratura francese.

Ebbero influenza sulla formazione di Dante anche l'amicizia con altri poeti fiorentini e toscani e la conoscenza dell'attività letteraria di Bologna, città in cui forse si recò nel 1287. Da Dante stesso sappiamo che dopo la morte di Beatrice, e se identifichiamo questa figura con Bice di Folco Portinari, moglie di Simone de'Bardi, dobbiamo dire dopo il 1290, furono gli studi di filosofia e di teologia ad interessarlo in modo sempre più profondo. Con ogni probabilità frequentò la scuola francescana di Santa Croce, in cui si studiavano soprattutto sant'Agostino, san Bonaventura e i mistici, e la scuola domenicana di Santa Maria Novella, dove si studiavano Aristotele, san Tommaso e Alberto Magno. Ebbe così l'occasione di discutere con i maestri francescani Ubertino da Casale e Pietro di Giovanni Olivi e col domenicano Remigio de' Girolami.


L'educazione di Dante










L'attività politica di Dante

Nel 1293 gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella estromisero i Magnati, cioé le famiglie dell'antica feudalità, dalle cariche politiche del Comune di Firenze. Due anni dopo però l'intransigenza di quegli Ordinamenti fu mitigata e la nobiltà minore fu riammessa alla vita politica, a condizione che i suoi membri si iscrivessero ad un'Arte, cioè a una corporazione artigianale, mercantile, bancaria, professionale anche senza esercitare il mestiere continuativamente. Dante si iscrisse all'Arte dei Medici e degli Speziali, data la sua preparazione filosofica (non dimentichiamo che nella cultura medievale gli studi filosofici sono preparatori a quelli di medicina), e iniziò la sua attività politica. Erano quelli anni di aspro conflitto tra i Guelfi fiorentini, ormai divisi nelle due fazioni dei Bianchi, capitanata dai Cerchi e dei Neri, capitanata dai Donati. Nel 1295 Dante fu eletto al Consiglio Speciale del Popolo, poi nel Consiglio dei Savi per l'elezione dei Priori, l'anno dopo nel Consiglio dei Cento infine fu Priore tra il 15 giugno e il 15 agosto del 1300, mesi in cui, per porre freno alle lotte intestine che insanguinavano la città, i Priori decisero l'esilio dei capiparte delle opposte fazioni; mesi in cui Dante fu tra coloro che s'opposero alla politica di dominio sulla città del papa Bonifacio VIII, appoggiato dai Guelfi Neri. Nei mesi successivi Dante compì altri due gesti contro il papa: propose di rifiutare aiuti economici a Carlo II d'Angiò e votò contro una richiesta d'aiuto militare da parte di Matteo d'Acquasparta per conto di Bonifacio VIII. Nell'ottobre del 1301 Carlo di Valois, chiamato dal papa giunse in Toscana ed entrò in Firenze, proprio quando un'ambasceria della città giudata da Dante si trovava alla corte papale. I Neri, protetti dalle armi francesi, s'impadronirono del potere, saccheggiarono le case degli avversari e misero sotto inchiesta l'operato dei Priori nei due anni precedenti. Dante fu accusato di guadagni illeciti nell'amministrazione del bene pubblico, di opposizione al papa e al re di Francia. Non essendosi presentato a discolparsi, il 27 gennaio 1302 fu condannato al pagamento di una grossa multa, a due anni d'esilio e all'esclusione perpetua dalla vita pubblica. Infine il 10 marzo, non avendo pagato la multa, fu condannato alla confisca di tutti i beni e alla morte sul rogo.
L'attività politica di Dante










L'esilio di Dante

Non sappiamo se Dante fosse riuscito a rientare a Firenze dopo l'ambasceria presso il papa o non non vi avesse mai più fatto ritorno. Parimenti non si conoscono con precisione tutti i suoi spostamenti, sappiamo che tentò insieme ad altri esiliati Bianchi, alleatisi con i Ghibellini cacciati da Firenze vent'anni prima, di sconfiggere militarmente i Neri e rientrare in città, ma il 20 luglio 1304 queste speranze naufragarono definitivamente, allorché i Neri vinsero ancora alla Lastra, in Val di Mugnone.
Tra il 1304 e il 1306 Dante fu a Treviso, poi forse a Venezia, a Padova, dove secondo Benvenuto da Imola, uno dei piu' antichi commentatori della Commedia, incontrò Giotto, che lavorava alla Cappella degli Scrovegni. Nell'autunno del 1306 fu in Lunigiana, ospite del marchese Malaspina. Nel 1307 e poi nel 1311 fu ospite del conte Guido di Battifolle a Poppi, nel Casentino, forse fu anche a Lucca nel 1308. Non ci sono notizie precise sugli anni tra il1308 e il 1313, in cui si consumò anche l'ultima speranza di rientrare in Firenze al seguito di Arrigo VII, l'imperatore che discese in Italia, ma morì improvvisamente senza compiere il suo progetto di ridimensionare il potere papale.
Nel 1313 Dante fu a Verona presso Cangrande della Scala, dove rimase fino al 1319, dopo aver rifiutato nel 1315 l'amnistia deliberata da Firenze, perché giudicò infamanti le condizioni poste. Per questo gli furono riconfermati l'esilio, la condanna a morte, la confisca dei beni e per di più questi provvedimenti furono estesi anche ai figli Pietro e Iacopo. Tra il 1319 e il 1320 Dante fu a Ravenna alla corte di Guido Novello da Polenta e a Ravenna morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321.
L'esilio di Dante










Dante e il potere

Negli anni fiorentini, come tutti gli uomini di cultura vissuti in ambito comunale, Dante fu protagonista non solo delle vicende culturali, ma anche della vicende politiche del Comune, in quanto membro dei ceti sociali dominanti. Quando l'esilio lo condusse fuori dalla sua città egli si trovò escluso anche dal potere, ridotto al rango di dipendente di un qualsiasi signore.

Nella Commedia l'avo Cacciaguida dà voce all'amarezza di Dante:

Tu proverai si' come sa di sale
lo pane altrui, e come e' duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.
				Par. XVII, 58/60
Nell'esilio, che giudicò immeritato ed ingiusto, Dante ebbe occasione di riflettere sulla sua nuova condizione, soprattutto sulla sua identità di letterato. Già nelle discussioni con gli amici stilnovisti s'era andata formando in lui la convinzione che la nobiltà di un essere umano non deriva dalla nascita, dalla ricchezza della famiglia, dall'esercizio del potere. Ma negli anni dell'esilio, e il Convivio lo testimonia, questa convinzione si rafforzò. In ciascuna cosa creata la nobiltà consiste nella perfezione della propria natura, sicché è nobile chi sa realizzare compiutamente la razionalità, che è caratteristica perculiare della specie umana e che si esplica nell'esercizio delle virtù morali e intellettuali. Nobile è dunque il letterato, perché tali virtù esercita e non esita a regalare all'umanita' intera il sapere, proprio come un signore che imbandisce per i suoi ospiti la mensa.
Dante dunque assegnò a se stesso e a tutti i letterati la funzione di guida degli altri uomini, e col potere egli teorizzò un rapporto di collaborazione o di critica, qualora quest'ultimo si discosti dai principi di rettitudine e giustizia.
Così mentre passò di corte in corte, Dante non rinunciò ad esprimere le proprie convinzioni, anche su questioni politiche, affidandole ai suoi scritti che continuò a pensare e a mantenere liberi. Gli elogi che egli tessè ai suoi ospiti celebrarono la cortesia , cioè la generosità, la liberalità di quei signori nei suoi confronti, ma non gli impedirono di esercitare la propria autonomia di pensiero.
Dante e il potere










Lo sperimentalismo espressivo dantesco

La produzione letteraria di Dante fino alla composizione della Commedia testimonia una vicenda di incessante sperimentazione e riflessione teorica. Nell'arco di venticinque anni, tra il 1283 e il 1308, Dante dimostra grande interesse per ogni forma espressiva che la poesia volgare aveva fino a quel momento elaborato. La sua sperimentazione è tematica, lessicale, metrica, stilistica. Egli riassume e rielabora temi e motivi dei poeti che gli sono contemporanei, accumulando un'esperienza ed una padronanza espressiva del volgare che non ha confronti. Nella tavola cronolgica che segue, è possibile seguire l'incessante ricerca espressiva e la costante riflessione teorica del poeta.

Tavola cronologica dell'opera di Dante

Documento significativo di questa sperimentazione letteraria sono le Rime, cinquantaquattro componimenti che Dante non incluse nella Vita Nova e neppure nel Convivio.
Mentre infatti Vita Nova testimonia l'adesione alla dottrina stilnovista e raccoglie le rime composte secondo lo stile cavalcantiano e guinizzeliano; mentre il Convivio testimonia l'interesse di Dante per la poesia dottrinaria con ambizioni enciclopediche, le cinquantaquattro Rime danno conto della pluralità degli interessi di Dante: vi sono qui infatti componimenti nello stile dolce proprio di Cavalcanti e di Guinizelli che Dante raccoglie principalmente nella Vita Nova ; vi sono poesie di ispirazione amoroso-morale e di impianto dottrinario come già se ne trovano nella Vita Nova e che poi caratterizzano soprattutto il Convivio ; vi sono poi componimenti nello stile aspro dei trovatori provenzali maestri del trobar clus, come Arnaut Daniel, sono le cosiddette "Rime petrose"; infine vi sono componimenti in stile comico, come ad esempio lo scambio di sonetti con l'amico Forese Donati che lasciano scorgere l'esperienza del Fiore o del Detto d'Amore.

Oltre che da questa assidua sperimentazione espressiva, l'opera di Dante è caratterizzata anche da un'importante riflessione teorica sulla propria opera di poeta. Sia la Vita Nova che il Convivio rappresentano due momenti di bilancio in epoche diverse della propria attività letteraria. Entrambe le opere sono infatti concepite come autocommento in prosa e in volgare dei propri versi. Da queste riflessioni emerge poi l'esigenza di dare dimostrazione anche teorica dell'importanza delle proprie esperienze: di qui la composizione del trattato specifico sulla questione linguistica, il De Vulgari Eloquentia. Con quest'opera si chiude il catalogo delle opere che precedono la Commedia : dal 1306/7 fino alla morte Dante è impegnato nella redazione del poema, ma tra il 1313 e il 1318 egli compose il suo unico trattato compiuto: Monarchia, che in tre libri riprende e sviluppa organicamente le opinioni politiche già manifestate nel Convivio e nella Commedia


Lo sperimentalismo espressivo dantesco