Giovanni Flechia - Università di Torino 1872-73
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Derivazione

 

Raddoppiamento della radice


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Radice


Ciò di cui oggi parliamo si è del raddoppiamento della radice. Prendendo adunque la stessa radice men o man che si trova in mens, la troviamo raddoppiata in memini, memento.

Nella stessa guisa che la radice can di cano è raddoppiata in cecini, per quel cambiamento dell'a in i molto frequente come si può vedere nei derivati di facio, nei quali la radice fac di esso diventa fic: ex. gr. conficio.

Questo cambiamento della vocale nella radice si scorge pure in tetuli dove la radice tol di tollo è divenuta tul.

Il raddoppiamento della radice ora avviene per la ripetizione dell'intera radice, come p.e. nel sanscrito dardar dove la radice dar si raddoppia per intero, ora avviene di una parte sola della radice come ad esempio in memini, cecini.

Il raddoppiamento della radice non è una cosa di puro capriccio, ma è destinato ad esprimere più fortemente la nozione che in essa radice è contenuta. Un fatto analogo a questo avviene quando noi per dar più forza ad una idea esprimiamo due volte la parola che la significa dicendo: è una strada lunga lunga; è un uomo buono buono ecc....

Perciò il sanscrito ha il raddoppiamento non solo nel perfetto ma altresì nell'intensivo e nel desiderativo.

In latino abbiamo pure un raddoppiamento radicale in carcer.

Né qui sarà fuori di luogo osservare che è oramai provato che i latini pronunziavano con suono gutturale anche il secondo c (quello innanzi l'e) che noi pronunziamo con suono palatino. Lo stesso avveniva di Cicero dove i due c aveano suono gutturale. Chi volesse ben conoscere questa materia potrebbe consultare il Corssen sulla trattazione della pronunzia latina.

Altre parole che ci presenta il latino, nelle quali avviene il raddoppiamento sono ad esempio perperam, barbarus, la quale ultima parola vuol dire propriamente "il mal parlante". In esso la radice è ripetuta due volte per intero, e dal suo significato si deduce la ragione per cui venga a forestieri applicata. Balbus "il balbettante" ha la radice comune con barbarus, come si scorge tramutando la liquida l nell'altra liquida r e perciò la sua vera forma sarebbe barbus.

La radice è pure raddoppiata in murmur, cicindela ecc.... In cicindela che vuol dire "lucciola" è facile ritrovare candela, la cui radice can si ritrova in candor e in ciandra, parola sanscrita che vuol dir "luna".

A proposito di questo can che è eguale a cian si dee notare che nei dialetti alpini e nello stesso francese le gutturali latine passano a palatine. Nei dialetti alpini casa diviene ciasa; in francese caballus si muta in cheval ecc....

E' tanto vero poi che in latino il c avea suono gutturale sempre che talvolta nelle antiche iscrizioni lo troviamo rimpiazzato da k.

Populus è pure parola in cui vi è il raddoppiamento della radice. Questa radice è pol dall'indo-europeo par che cangiandosi poi in pel va a formare il verbo plere nel quale vi è trabalzo della consonante l e allungamento della vocale e.

Giova quindi ripetere ciò che precedentemente abbiamo detto che cioè l'a delle radici indo-europee o si conserva come in ag-o, o si cangia in o o in e.

Dalla stessa radice che populus viene publicus = poplicus. Quest'ultimo si riduce alla forma di pubblico a cagione dell'l che essendo media riduce a media la consonante vicina p. La volgare forma di publico è piuvico che anche ne trecentisti ci è dato incontrare.

Ciò avviene perché in italiano l dopo consonante non è legittimo, ed è contrario all'indole della lingua; è facile vedere che da pluma è venuta piuma da flatus viene fiato ecc... Furono gli scrittori che vollero alla forma comune piuvico sostituire la latina publico.

La parola flagello era stata dal popolo trasformata in fragello (la sua forma regolare sarebbe stata fiagello) e fu per opera degli scrittori alla forma latina ricondotta.

Altra forma raddoppiata è vigil. La radice qui è gil = gal = gar che è la radice indo-europea che si ritrova nel sanscrito garti e col raddoppiamento in giagarti.

Abbiamo visto altre volte come in latino l'a della radice si cambi in i: ex.gr. pango fa al perfetto pepigi; così gal diventa gil.

Lo stesso si dica di imitari che sta per mimitari radice ma ed ha il significato di "misurare", perché chi imita è quasi misurato da quello cui si vuole conformare. Tal verbo è frequentativo di imari che più non esiste.


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